Il convegno di Toponomastica Femminile del 3-4-5 ottobre 2014 è stato il 3°, dopo Roma (2012) e Palermo (2013).
Un convegno di tre giorni che ha coperto molte aree del femminile che ruotano intorno all’ ambito toponomastico. Un convegno armonioso perchè collaborativo. Perchè le donne sanno essere sia professionali e professioniste che accoglienti.
Una sala colma di gente che veniva da tutte le parti d’Italia, Bologna, Milano, Venezia, Pisa, Napoli, Bari, Catania. Gente che spesso non si conosceva di persona ma che aveva un obiettivo ed un tema comune: ridare dignità alle donne del passato e del presente, finalmente nominandole. Perchè è questo che il gruppo di Toponomastica, nato intorno a Maria Pia Ercolini su Facebook (quasi per diletto e che oggi ha raggiunto più di 7000 aderenti) e poi diventato un sito strutturato ed esaustivo (www.toponomaticafemminile.com) ha voluto portare avanti: far conoscere attraverso le targhe stradali le donne che hanno fatto la storia ma sono rimaste invisibili ai più.
Ho voluto intervistare una delle prime aderenti all’iniziativa e che con M.P Ercolini l’ha portata avanti, Loretta Junck, già docente di materie leterarie torinese e lettrice del Premio Italo Calvino, referente di Topononomastica femminile per il Piemonte, che ha organizzato tutto il convegno
Tutti gli interventi sono stati interessanti ed esaustivi. Ce ne parlate brevemente e qual è la logica che li sottende?
Per sua natura la toponomastica può interessare a specialiste e specialisti di discipline anche molto diverse, e non a caso gli interessi e le competenze delle iscritte a Toponomastica femminile vanno dall’archeologia alla teologia, dall’astrofisica alla linguistica, dalla storia alla letteratura … e potrei continuare. Credo quindi che gli interventi abbiano solo in parte rispecchiato questo ventaglio di interessi. Per quanto mi riguarda, nell’invitare le relatrici e i relatori torinesi ho cercato anche di dare voce ad alcune realtà locali – e mi spiace che non tutte abbiano potuto essere rappresentate – in modo di coinvolgere la città nell’evento.
Per quale motivo è stata scelta quella sede?
La scelta di Torino, che è il luogo in cui vivo, risale al febbraio di quest’anno, quando Maria Pia è venuta qui per l’inaugurazione della mostra fotografica a Villa Amoretti; c’era un pubblico attento e interessato ed è stato allora che si è pensato di farne la città ospitante del terzo convegno. Avevamo bisogno di una sede capiente, non troppo lontana dal centro città e aperta al sabato pomeriggio e alla domenica. Ci piaceva che fosse vicina all’antica manifattura dei tabacchi, caratterizzata da una presenza operaia prevalentemente femminile. Tra le sale offerte dalla Circoscrizione 6, le cui amministratrici, per tradizione donne, hanno dimostrato di volerci ospitare sul proprio territorio, quella di via Leoncavallo rispondeva a questi requisiti. La direttrice dell’ annessa Biblioteca Civica Primo Levi, Giuliana Alliaud, che ha collaborato senza limiti di orario e di disponibilità alla realizzazione dell’evento, è stata una grande risorsa.
Dall’urbanistica alle nuove tecnologie. La toponomastica serve a svelare le donne? Anche ai ragazzi giovani?Sì, crediamo che le donne debbano essere “svelate”, nel vero senso del termine, cioè liberate dal velo che le nasconde. E la toponomastica è una delle strade di questo disvelamento. Per quanto riguarda le giovani generazioni, tocca alle insegnanti additare quel velo e il modo di eliminarlo. L’impegno del gruppo nella didattica ha proprio questo significato. La presenza di 700 studenti alla premiazione del I Concorso nazionale “Sulle vie della parità” ha confermato che attraverso la toponomastica è possibile innescare processi di cittadinanza attiva e di democrazia paritaria a scuola. Da qui il ripetersi dell’iniziativa, che vede tra l’altro, il sostegno del Senato della Repubblica.
Quale differenza vedete tra i due convegni di Roma e Torino?
Mi sembra che ci sia una sostanziale continuità rispetto al primo convegno, quello di Roma: in entrambi gli incontri, oltre alla visione nazionale, è stata offerta una lettura locale degli spazi urbani in ottica di genere. Ci piace inoltre segnalare la presenza, nelle pause e nell’aperitivo di sabato, di quella che scherzosamente abbiamo chiamato “Gastronomastica”, cioè l’offerta di specialità che le diverse congressiste hanno portato dalle regioni di provenienza: troviamo che sia una modalità specifica delle donne, quella di rimboccarsi le maniche e far fronte alle necessità diverse anche in assenza di supporti istituzionali. A Roma abbiamo avuto il contributo della Commissione delle elette del Comune, mentre a Torino, è stata la Circoscrizione ospitante a offrire il catering preparato dall’Istituto alberghiero Beccari.
Cosa pensate di fare per il futuro?
Di intensificare il rapporto con le istituzioni: la via maestra a mio parere è quella. Senza un pieno coinvolgimento di sindache e sindaci e delle Commissioni per la toponomastica delle città non si otterranno i risultati che desideriamo. Purtroppo il Sindaco di Torino, che è anche presidente dell’Anci, non è stato presente, come invece avremmo desiderato. Abbiamo già avviato una collaborazione diretta con diversi Comuni, grandi e piccoli, e con l’Istat.
La vostra è un’attività pacifica ma penetrante. Cosa vi proponete di ottenere alla fine con la toponomastica?
È presto detto: ciò che vogliamo è una vera e propria rivoluzione culturale, una rivoluzione irrinunciabile e ormai improrogabile, anche alla luce di un fenomeno come quello della violenza contro le donne. Ci sono ovviamente altre strade da percorrere per raggiungere questo obiettivo. Come tutti i problemi complessi, anche quello di un totale riconoscimento del valore dell’apporto femminile in tutti i campi e quindi della piena dignità della figura femminile ha bisogno di una molteplicità di approcci, e non ci illudiamo che sia sufficiente la nostra azione. Proprio per questo dobbiamo insistere sulla progettualità e moltiplicare i rapporti con le realtà che hanno obiettivi simili e possono affiancarci in questa battaglia.
Qual è la città che ha risposto più attentamente all’appello?
Direi Napoli, per ora. Qui, come è emerso nel Convegno di Torino cui ha partecipato la consigliera comunale Simona Molisso, le istituzioni si sono rivelate pronte a cogliere l’occasione di fare largo alle donne ed è stato modificato il regolamento della Commissione toponomastica per accogliervi una rappresentante di Toponomastica femminile, Giuliana Cacciapuoti. Oggi nella capitale partenopea quasi tutte le nuove intitolazioni sono riservate a figure femminili, e si sta ottenendo un sostanziale riequilibrio dell’odonomastica cittadina. Un esempio da seguire.
Va certamente segnalata Ravenna, che aveva già iniziato il recupero della memoria femminile attraverso la toponomastica e negli ultimi anni ha intitolato a donne un centinaio di spazi pubblici, fra strade, rotonde e giardini.
Potremmo aggiungere anche Roma, non tanto per le intitolazioni femminili, per le quali c’è ancora molta resistenza, quanto piuttosto nell’azione didattica, di cui si è fatta portavoce Alessandra Cattoi, Assessora a Scuola, Infanzia, Giovani e Pari Opportunità.