La pubblicità riveste un ruolo dominante nella nostra società fatta spesso più di immagini che di contenuto, veicola i messaggi ed influenza le idee ed è per questo che è necessario porvi la dovuta attenzione.
Seguo da molto le vicende dell’uso ed abuso della pubblicità sessista in Italia, un po’ perché provengo da una grande agenzia pubblicitaria dove non si faceva mai uso del corpo della donna per le immagini pubblicitarie (anche se qualche stereotipo talvolta lo utilizzava ) e un po’ perché mi occupo da molto tempo di buone prassi.
Quindi posso dire di aver vissuto tutti i due lati del problema (dalla parte dell’agenzia e dalla parte dell’utente) e mi sono domandata più volte perché esistano campagne che umiliano il corpo femminile anche per prodotti che non hanno niente a che vedere con le donne. E’ vero che il cliente ha sempre ragione, ma le campagne più oltraggiose e di cattivo gusto non vengono dai piani pubblicitari di grandi agenzie, ma sovente e dal ‘’fai da te’’ dell’imprenditore che ritiene di poter fare da solo e che si rivolge a massimo ad un bravo fotografo che riprende i tratti femminili in tutte le pose, più accattivanti per l’utenza maschile.
La pubblicità riveste un ruolo dominante nella nostra società fatta spesso più di immagini che di contenuto, veicola i messaggi ed influenza le idee ed è per questo che è necessario porvi la dovuta attenzione.
E’ vero che questo è un momento di crisi italiana, europea, mondiale, ma , come ha detto giustamente l’on. Alessia Mosca deputata europea del PD (intervenuta al convegno) non è per questo che si deve retrocedere da posizioni faticosamente acquisite.
Gli stereotipi sono duri a morire, specie perché sono mutanti e variano con i tempi, come afferma Elisabetta Mina , vicepresidente dello IAP, ed è per questo che vanno aggiornati e seguiti.
Ma se agli stereotipi aggiungiamo la volontà di imprimere sul mercato e sui propri utenti il marchio del cattivo gusto se non del porno, difficilmente ne verremo fuori. Tutti, sia uomini che donne, perché è un problema, quello del sessismo che pervade le comunicazioni pubblicitarie che non riguarda solo le donne, m anche gli uomini, come fa giustamente rilevare la conduttrice e giornalista del Corriere, Sara Gandolfi.
Tuttavia un’azione disciplinare voluta a monte da una legge che riordina, dirige e in qualche modo censura il mercato anarchico della pubblicità fai da te soprattutto della cartellonistica, è ammissibile giuridicamente?
Benedetta Liberali ci fa presente che la costituzione italiana prevede che il mercato sia libero da censure, ma solo se ciò che produce abbia un obiettivo sociale che sia di vantaggio per l’azienda, il produttore ma non che nuoccia al pubblico, cioè il cittadino/a.
In assenza d i una specifica regolamentazione nazionale, il comune di Milano in questo quadro ha avuto un ruolo fondamentale con le sue iniziative, emulate poi da molti altri comuni italiani, anche se la mancanza di tale ordinamento limita spesso le competenze locali rendendole alla fine le rende poco incisive.
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