Serena Dinelli è un ‘multiforme ingegno’, mi stupisce sempre con qualcosa di nuovo e inaspettato. Di recente ha pubblicato un libro ”Saperi e Sapori delle donne”, che tratta temi tra femminismo e cucina.
Serena, ora per esempio è uscito un libro che hai scritto a quattro mani con Paola Leonardi, “Sapori e saperi delle donne”, con Jacobelli editore, in cui, con la firma Dominko, hai anche creato le immagini, e proposto ricette di cucina. Io finora ti conoscevo per il tuo impegno nel movimento delle donne e per i tuoi lavori nel campo delle tecnologie…
Nella tua definizione mi ci ritrovo, è vero che mi piace fare molte cose diverse, in realtà quello che più mi piace è connettere: vedere e creare relazioni tra cose che di solito stanno in ambiti separati. Per questo il libro con Paola Leonardi è stato veramente divertente: lei voleva riattraversare i pensieri e le esperienze del femminismo passando per 12 parole chiave che l’hanno aiutata a trovare la sua strada nella vita. Ma aveva in testa il titolo “sapori e saperi”, e voleva un libro colorato e ricco di immagini. Mi ha contattato perché avevo già scritto 30 anni fa “Robinson in cucina”, il primo libro uscito di cucina per singles, e poi sapeva che mi piacciono le biografie e fare immagini. Alla fine, per tenere insieme il tutto è venuta fuori la formula delle lettere che le scrivo in ogni capitolo: così nel libro ci sono anche molti miei pensieri sui diversi temi, da cui, per associazioni molto libere e un po’ rocambolesche, arrivo a proporre dei sapori. Sono molto grata a Paola per avermi coinvolto nell’avventura. La cosa più bella, comunque, è stata creare le immagini.
Perché?
Beh, in questi anni, nel movimento delle donne, ho lavorato molto sulle rappresentazioni del femminile, che attualmente è tornata ad essere sempre più stereotipata. Si è trattato di inventare una formula. Ho preso come base il corpo che danza: il corpo che danza ha un grounding, è fondato e dinamico, e su questa base può fare tutto, esplorare il proprio potenziale. E’ di questo che abbiamo bisogno, mi pare, per essere anche gioiose, per conoscere e sviluppare creatività, forza e libertà. Il corpo che danza è espressivo, parla, respira, racconta… Io ce l’ho anche un po’ con la tendenza attuale a ridurre i colori al bianco, al grigio, al nero, come si vede in certi arredamenti un po’ algidi, per non parlare del rosa… quindi i miei collages per il libro si prendono la libertà di esplorare tutta la gamma cromatica…
Nel libro dici che ti sei anche ispirata alle ricerche di Marjia Gimbutas, la grande studiosa della civiltà della Dea…
Ah sì, le immagini del femminile che la paleo-archeologa Gimbutas ha raccolto nel suo splendido libro “Il linguaggio della Dea” sono strepitose. Più le studiavo per fare questo lavoro, più restavo stupita e incantata. Queste immagini di dee arcaiche, create anche 7000 anni fa, sono di una vividezza e modernità straordinarie. Prima delle invasioni indo-europee c’è stata per millenni una cultura europea antica, da cui provengono questi bellissimi reperti. Era una società pacifica e estremamente raffinata, con una moda elegantissima… tra l’altro sono rimasta stupita rendendomi conto che c’era una moda elegantissima e che anche allora le donne amavano molto il motivo della rete, gli abiti aderenti, le acconciature per il capo… Dalle ricerche di Gimbutas viene fuori una maggiore consapevolezza di sé, in una fase in cui come donne siamo sotto grande pressione culturale… E’ stato bello rivisitarle in chiave contemporanea…
Oltre alle tematiche femminili ti piace anche cucinare. Oggi la cucina è diventata centro della vita di molti. Perché secondo te?
Mah, si potrebbero fare molte ipotesi… Una è che facciamo una vita di scarso rapporto col nostro corpo: sempre davanti al computer, sempre seduti quando si lavora, con gli occhi, che sarebbero fatti per guardare il mondo, sempre fissi invece su uno schermo… allora si cerca istintivamente di recuperare andando in palestra e poi con il cibo… Ma su questo dovresti intervistare Caterina Arcidiacono, che l’altra sera mi ha detto cose molto interessanti, lei ci sta pensando su come psicologa sociale. Mi chiedo però quanto la cucina si pratica nei fatti… a volte mi scopro a leggere di gusto ricette che non farò mai… forse non succede solo a me… La cucina è anche un rapporto con le nostre fantasie e anche con le radici culturali, che stiamo rapidamente perdendo. Si fa una certa cucina (o si fantastica di farla) per sentirsi in un certo modo… E le ricette del libro hanno tutte un carattere molto simbolico, sono proposte di modi di stare al mondo o di elaborare un tema, per così dire. E più che la ricetta in sé è importante la concentrazione, la meditazione, mentre la si prepara…
Già, nelle ricette del libro si va dalla Bevanda delle streghe lituane al risotto al melograno, dai Pomodori verdi fritti del famoso film, alla spuma di Venere…
Sì, mi sono sbizzarrita a trovare ogni volta un’associazione simbolica, è stato molto divertente inventare sempre qualcosa di nuovo, a partire da ciò che Paola raccontava della sua vita, così intenso e toccante.
E ora che progetti hai ?
Beh, questo è il quarto libro di cui faccio le immagini e ho fatto ormai anche parecchie copertine di libri, in Italia e anche all’estero. Penso di continuare a lavorare in questo senso. Mi piace molto lavorare « su commissione », i vincoli favoriscono la creatività. Ci stanno chiamando in vari posti a fare presentazioni del libro e da questi incontri con persone sconosciute nascono delle idee, possibilità di piccole mostre, e altre iniziative. Intanto sto scrivendo sia da sola che con altri, tu l’hai capito, mi piace vagabondare tra varie possibilità. Ma la mia passione è lavorare con le forbici, il collage è la mia forma. Le forbici danzano tra le mani, e nella composizione nascono decine di immagini possibili esplorando forme e movimento, fino a quella finale che in qualche modo le contiene tutte.