Questa è la speranza ma così non è stato.
Per la giornata contro la violenza sulle donne, molti giornali ricordano le vittime. Visi sorridenti, spesso giovanissimi, e le didascalie con la loro storia di morte. Tutte insieme, un cimitero solo al femminile. Morti violente dovute a uomini violenti. Nessuna scusante per una società che ha contribuito e permesso il non rispetto per le differenze, sostenuta una immagine femminile stereotipata, avvallando una sub cultura di relazione nel rapporto uomo-donna.
L’entità del problema è enorme, complesso e multi sfaccettato. Misure istituzionali, legislative devono andare di pari passo ad interventi culturali a largo raggio per sradicare alle fondamenta il fenomeno. Tutta la società civile deve essere coinvolta, sensibilizzata e responsabilizzata.
Famiglia, Istruzione, mezzi di comunicazione, giocano in questa scacchiera un ruolo determinante per affrontare il nocciolo della questione là dove le istituzioni per limiti intrinsechi non possono arrivare.
Problema culturale quindi in primis, endemico o meglio atavico in una Italia dove la cultura cattolica e la politica in merito degli ultimi decenni hanno avuto un peso determinante nel consolidare.
Ma se di cultura vogliamo parlare, un sondaggio d’opinione del report “Rosa Shocking. Violenza, stereotipi…e altre questioni del genere“, realizzato da WeWorld Intervita con Ipsos presentato il 18 novembre alla Camera, fornisce un quadro poco esaltante della percezione degli italiani sul fenomeno della violenza contro le donne.
Ancora vige la cultura dominante dove la violenza domestica inflitta dal partner viene considerata una questione d’interesse privato e non pubblico ( per un italiano su tre è un fatto privato da risolvere all’interno della famiglia).
E, dulcis in fundo, per quasi 9 italiani su 10 viene reputato normale sfruttare un bel corpo di donna a fini commerciali.
Ma, aspetto ancora più inquietante e significativo, nello stesso report sono riportati anche i sondaggi sulla percezione del problema dal versante femminile. Il 61% delle intervistate considera le dinamiche di maltrattamento della coppia un ambito esclusivamente privato, il 79% giustificata la possibilità di violenza maschile in caso di tradimento, il 77% ritiene la violenza come manifestazione di amore e il 78% motiva l’aggressività come reazione “fisiologica” in caso di abiti provocanti.
Lotta agli stereotipi di genere quindi per innescare un radicale cambiamento culturale senza il venir meno di un costante coinvolgimento delle istituzioni.
A questo proposito è utile ricordare come gli investimenti rispetto al passato siano aumentati ma anche le polemiche suscitate dalla scarsità di fondi – briciole – distribuite dall’attuale Governo ai centri antiviolenza riuniti nelle rete “Di.re”che da decenni, nel silenzio istituzionale, hanno affrontato il problema.
Del resto lo stesso Concilio d’Europa nella relazione sull’attività istituzionale di più di quaranta paesi pubblicato nel 2014, ha segnalato come l’Italia, pur con un miglioramento rispetto al passato, sia ancora in coda nel contrastare la violenza di genere, venendo dopo il Portogallo, la Slovacchia, l’Albania, l’Irlanda e l’Estonia ad esempio per numero di letti a disposizione delle vittime per le emergenze o per la formazione degli operatori magistrati e poliziotti che intervengono sul posto.
Sensibilizzazione, prevenzione, sostegno alle vittime, richieste contenute nella “Convenzione di Istanbul” in vigore anche in Italia. Questi i cardini. Mollare o sottostimare uno solo di questi aspetti renderebbe inefficace il lungo e complesso lavoro di contrasto ancora da svolgere. E siamo solo all’inizio.