Ha messo nero su bianco una storia di volenza domestica fisica e psicologica, per lanciare un messaggio a tutte le donne: nonostante le sofferenze, il dolore, gli ostacoli, uscirne fuori e ritrovare se stesse è possibile. Anzi, doveroso.
Elena Cerutti ha 48 anni, due figli, una carriera di medico ospedaliero in corso ed una parallela di scrittrice davanti. Il suo primo romanzo, Lo sconosciuto, ancora inedito è risultato finalista al Premio Mario Soldati 2012 ed oggi, appena pubblicato da Golem Edizioni, sta riscuotendo interesse e apprezzamento da parte di un pubblico non solo femminile. Abbiamo chiesto ad Elena di parlarcene.
Partiamo dal titolo che hai scelto, Lo sconosciuto. Si dice che solo stando insieme a una persona la si conosca veramente, ma non sempre è così: Stella, la protagonista del tuo romanzo, vive per anni con il marito Giovanni senza mai conoscerlo veramente…
Nel romanzo la protagonista, Stella, nonostante sin dall’inizio della relazione con l’uomo che diventerà suo marito abbia numerosi segnali che la dovrebbero insospettire sulla sua reale identità, decide di non indagare finché non si sente pronta ad affrontarne le conseguenze. E, tuttavia, anche giunta all’epilogo, si rende conto con amarezza di non aver mai realmente conosciuto l’uomo con il quale ha condiviso un pezzo importante della sua vita e costruito una famiglia.
Nel libro, Stella ha intorno a sé molte figure familiari, che, per quanto non condividano la sua relazione, si rivelano importanti risorse nei momenti di difficoltà. Nei casi di violenza domestica, quanto pensi possa contare, per una donna, l’appoggio – o il distacco – della famiglia?
Nel romanzo la protagonista rimane succube del suo uomo finché lui la isola dalla famiglia, dagli amici più cari. Nel momento in cui Stella si rende conto della pericolosità del marito, trova la forza di rompere il silenzio, l’omertà nella quale ha vissuto sino a quel momento. E solo con l’appoggio della famiglia trova il coraggio di ribellarsi e di scegliere di separarsi.
Io credo che nei casi di violenza domestica sia fondamentale condividere con qualcuno la propria esperienza: con la famiglia, con gli amici o con i volontari di un centro di aiuto alle famiglie. Occorre trovare qualcuno con cui parlare, aprirsi a raccontare le proprie sofferenze e il disagio. Finché non si vince la paura o l’imbarazzo che queste situazioni comportano, non si può sperare di uscirne fuori da sole. La dipendenza psicologica che si crea tra vittima e carnefice rende pressoché impossibile alla donna liberarsi dal giogo.
Nonostante le enormi delusioni nel suo rapporto con Giovanni, e la sua lucida consapevolezza di essere prigioniera di una relazione malata e improduttiva, Stella si rivolgerà a una psicologa solo alla fine del romanzo. Da medico, a una donna vittima di violenza fisica e psicologica consiglieresti di rivolgersi a un/una terapeuta, o a un centro donna, fin dalle prime avvisaglie?
L’aiuto di un terapeuta è fondamentale per comprendere le dinamiche ‘malate’ che producono nella donna la coazione a ripetere gli stessi errori, a ricadere più volte nella stessa trappola. L’aiuto di un terapeuta è, inoltre, necessario per recuperare l’autostima che uomini come Giovanni minano sin nelle fondamenta e senza la quale la donna si sente persa, inutile. In questi rapporti si crea inoltre una dipendenza patologica, dalla quale difficilmente ci si libera se non si è disposti a indagare fino in fondo alla propria psiche. Come medico, e come donna che ha vissuto in prima persona l’esperienza della violenza domestica, consiglio di non aspettare mai, di non dare una seconda chance. Faccio mio il detto: “uccidi il mostro finché è piccolo”.
Leggendo il tuo romanzo, molte donne si sono riconosciute nella storia di Stella… In che cosa pensi consista l’universalità di ciò che racconti?
Effettivamente ho avuto dei riscontri interessanti: alcune donne si sono messe in contatto con me per raccontarmi le loro vicissitudini, magari non così estreme come quelle di Stella, ma comunque subdole e oggetto di sofferenza psicologica. Il messaggio insito nel romanzo è che tutte le donne, ma proprio tutte, indipendentemente dal ceto sociale o dal livello culturale, possono essere vittime di violenza. Credo che questo renda il romanzo ‘universale’: la storia di Stella è la storia di tante altre donne
Nel libro, affronti tematiche forti con estrema delicatezza. Ti piacerebbe far conoscere il tuo testo anche agli adolescenti, magari con una campagna di sensibilizzazione antiviolenza nelle scuole?
Si tratta di un testo ‘forte’ come contenuti e messaggi. Ma credo che, con una lettura guidata, anche dei giovani adolescenti possano approcciarsi a questo libro. I ragazzi sono abituati, dai mass media, ad affrontare situazioni anche più scabrose e non credo questo testo li possa scandalizzare. Ritengo, inoltre, che la questione della violenza tra le mura domestiche vada trattata educando al rispetto coloro che saranno gli uomini e le donne del domani. Dunque romanzi come il mio potrebbero essere utili alla causa.
Prima di essere pubblicato, il tuo romanzo è stato selezionato per la trasmissione Masterpiece. Al di là delle critiche a questo talent per scrittori, per il tuo libro è stato comunque un riconoscimento importante. Cosa ti ha lasciato questa esperienza? Può aver costituito l’incentivo a credere nel tuo scritto e a cercare un editore?
Il fatto che il mio testo sia stato selezionato tra ben 5 mila manoscritti, e abbia avuto una visibilità in TV quando ancora non avevo completato la stesura definitiva, ha rappresentato non solo un riconoscimento del mio lavoro ma, soprattutto, uno stimolo a continuare a lavorarci e a perfezionarlo. E mi ha portata alla convinzione che non dovesse rimanere in un cassetto.
Il tuo book tour è iniziato nel torinese e ha registrato, in alcuni casi, il ‘tutto esaurito’. Che effetto ti fa portare al pubblico la storia che hai scritto e quali saranno le tue prossime tappe?
È un’emozione bellissima ma rappresenta per me anche una fonte di ansia perché, a contatto con il pubblico, mi rendo conto che la storia che ho raccontato non è più mia, ora è a disposizione di tutti. E la osservo con stupore assumere una propria dimensione, che va ben al di là delle mie aspettative.
Dopo essere stata ospite del Circolo dei Lettori di Torino e della manifestazione “Libri in luce” di Alpignano, ora mi attendono altre presentazioni. Il 19 dicembre sarò ospite dei Lions di Rivarolo Canavese, che hanno patrocinato il romanzo. Il 27 dicembre presenterò il libro nella mia città di origine, San Giorgio Canavese. E, per il prossimo anno, ho in prospettiva di effettuare delle presentazioni al Centro Interculturale di Torino e poi a Milano e Pavia. E poi… si vedrà!
Lavori come internista in un importante ospedale di Torino, oggi sei anche una scrittrice. Ti senti di più un medico prestato alla letteratura, o una scrittrice con la missione della medicina?
Più che una scrittrice mi definirei un’autrice. Senza dubbio in ‘prestito’ alla letteratura, per la quale ho sempre avuto una grandissima passione. E, data l’enorme quantità di medici che scrivono (da Cronin a Vitali), mi viene il dubbio che tra medicina e letteratura si crei una potente sinergia, dalla quale, una volta assorbiti, sia difficile se non impossibile liberarsi…
Elena Cerutti, Lo sconosciuto, Golem Edizioni, “Mondo”, 2014, pp. 304, € 16,50.