di Cristina Obber
Ci sono bambin* che si preoccupano per Babbo Natale, avrà freddo e sarà indaffaratissimo nell’attraversare i cieli per accontentarci tutt*.
Ci sono bambin* che hanno già scoperto che Babbo Natale è soltanto la proiezione dei nostri desideri, e scartano regali ordinati con precisione, badate bene a non sbagliare modello o marca.
Ci sono bambin* negli ospedali, che si nutrono di flebo e dei sorrisi di mamma e papà, tra una chemio e l’altra; per loro sarà forse un clown dottore ad indossare la barba bianca.
Ci sono bambin* che non vedono l’ora di diventare grandi per assomigliare a mamma e papà, ci sono quell* che non vedono l’ora di diventare grandi per non assomigliargli per niente, costrett* ad assistere o subire violenze che rievocano il terrore scoperto tra i libri di fiabe. Streghe, orchi, tutto a portata di mano, dentro casa.
Se guardiamo un po’ più in là ci sono i bambini e le bambine sirian* nei campi profughi, dove un altro dicembre significa solo che fa di nuovo tanto freddo ed è più dura di sempre; lì ti va bene se non ti fanno del male, soprattutto se sei femmina.
Ci sono bambin* che crescono a Gaza, dove quando le bombe tacciono ti tolgono la vita in altro modo, piano piano, così il mondo non se ne accorge, ma tu sì.
Ci sono i bambini curdi appena liberati dall’Isis, che sono stati picchiati e costretti a vedere filmati di guerra e decapitazioni.
Ci sono bambini kazaki che vanno a scuola in mimetica, armati, e vengono cresciuti come futuri combattenti in grado di usare un kalashnikov e sgozzare infedeli. Bambini che imparano a leggere, scrivere e odiare.
Ci sono bambini e bambine che non ci sono più perchè andavano in quella scuola del Pakistan dove i terroristi hanno pensato bene di ammazzarli per spiegarsi meglio, per essere ben chiari nel seminare panico e dolore.
Ci sono i bambini e le bambine che in quella scuola non sono morti e ora usciranno dall’ ospedale con ferite rimarginate e ferite che non si rimarginano.
Se guardiamo ancora dentro questo dicembre, ecco le cinque bambine esplose in Afghanistan mentre giocavano, perché si sa, quando giochi in Afghanistan può capitare di calpestare una mina che ti riduce in brandelli, proprio come le quindici bambine yemenite esplose dentro il loro scuola bus.
Ci sono bambin* che non vediamo, che non hanno il tempo di giocare nè di andare a scuola, sfruttati in fabbriche clandestine o nelle miniere. bambini invisibili, che però ci sono.
E poi ci sono quattro femmine e quattro maschi tra i due e i quattordici anni uccisi a coltellate in Australia, forse dalla madre, non è certo, e speri che non lo sia, speri che non abbiano vissuto anche l’incubo di vedersi trafiggere da chi per loro significava amore e protezione.
Così come speri che ad uccidere il piccolo Loris non sia stata la mamma.
Si proclama innocente, e in mancanza di una confessione io continuo a considerarla tale. Rifuggo il pensiero di Loris che sente le mani della madre che stringono, e gli manca il respiro e non capisce. Non ce la faccio e allora vado oltre, e aspetto che chi indaga e interroga faccia il suo mestiere. Vorrei che anche i giornalisti e le giornaliste facessero il loro mestiere, ma qui è tutto un caccia al click e allo scoop, con tanto di cacciatore che passa per caso ma è per finta, proprio come fanno i bambini quando giocano. Anche quell’inviata fa l’inviata per finta, qualcuno glielo dica.
Non ho scritto sino ad ora nulla su questo caso perché sento che molte delle mie percezioni sono indotte dai fiumi di congetture e dalle analisi spese sulle congetture, da cui cerco di stare lontana.
Certo se quella madre innocente non fosse, non chiederei un giudizio meno severo perchè Loris è morto a otto anni e chiunque lo abbia ucciso deve rispondere della malvagità del suo gesto. La pietas umana per chi colpisce viaggia su un piano parallelo, che non incontra quello della richiesta di assunzione della responsabilità, indispensabile sempre in uno stato che deve difendere, prima di tutto, la vittima.
Come per Davide e Andrea, 12 e 8 anni, che in questo dicembre hanno avuto giustizia.
Ergastolo per il padre padrone che li ha uccisi per punire la madre, per un padre che ne ha fatto ciò che gli andava, come si fa con una palla da baseball o un paio di calzini.
Che punizione peggiore c’è per una ex moglie che non ti vuole più? Tu mi lasci e io ti infliggo una vita che sia sopravvivere ad una quotidiana tortura.
E allora eccoli i bambini pronti per l’uso. Utilizzabili, ne più né meno come hanno fatto i terroristi in Pakistan.
Oggetti e non soggetti, come quell* risucchiati dal turismo sessuale, alimentato anche da moltissimi italiani.
Oggetti e non soggetti come quell* a cui il marketing scippa la tenerezza.
Ci sono le bambine, più dei loro coetanei, pronte per l’uso nelle mani di chi le vuole grandi, ben visibili, seducenti e ammiccanti nel leccare un chupa chups, nel sollevare una gonna. Troppo comodo scagliarsi contro l’irresponsabilità dei genitori, siamo tutti coinvolti, spettatori e consumatori che non boicottiamo, che non cambiamo canale, che rimaniamo lì a dirci che così non va e intanto quell’infanzia passa e niente cambia.
E’ Natale e migliaia di bambine scarteranno elettrodomestici in miniatura, così che quando arriveranno al liceo diranno, come mi è accaduto a Milano solo un mese fa, che non c’è nulla di male se negli spot le pulizie della casa riguardano solo donne e bambine perché “è naturale, tutte le ragazze sognano una casa tutta propria da pulire”. Ma quando mai?
Infanzie senza sogni, infanzie ingabbiate in sogni indotti e ben confezionati, infanzie seppellite dentro piccole bare bianche.
Mille volti ha la violenza, mille volti l’infelicità.
Dicembre è il mese dei buoni propositi. Che il nuovo anno ci veda più impegnat* nel restituire ai bambini e alle bambine ciò che gli abbiamo tolto, per esempio la libertà.
Santa Lucia, Gesù Bambino, Babbo Natale, non ce la fanno a far tutto, dobbiamo metterci in gioco anche noi. “Libertà è partecipazione”. In solitudine siamo niente ma quando condividiamo possiamo fare cose grandi.