Storia di una donna, Isabel Suppé, che non poteva fare a meno di scalare.
da tipitosti.it
“Non posso piangere perché non può essere vero. Perché è assurdo. Non posso piangere perché ho bisogno della mia forza per alzarmi domani, per posare il piede a terra, per poggiarlo davanti all’altro, per imparare a camminare di nuovo. Devo imparare a camminare per allontanarmi dal buco nero dell’assenza. Devo imparare a camminare anche se il cibo non sa di nulla, anche se non ricordo perché mi dovrei alzare la mattina. Ne ho bisogno anche se non sono più di un fantasma che cammina. Anche se il cielo è grigio e il mio sguardo non riesce ad attraversare la massa di neve che ha tramutato la stanza in una caverna assiderata. Devo imparare a camminare perché così lascerò da sola le impronte che avevo sognato essere di entrambi.
Devo imparare a camminare perché la pietra del dolore sia una pietra miliare sulla mia strada. Per poter incidere nuove orme con i piedi e le mani. Per scalare il Monte Rosa per Peter. Per scoprire che il cielo continua ad essere stellato e bello. Troppo bello per morire. Per andare sulla luna, dimostrare che posso trovare lavoro vendendo cammelli a Timbuctù. Per andare in Nepal anche se devo andarci da sola, accompagnata soltanto dalle mie babbucce. Perché mia nonna riceva la cartolina da Katmandu.
Il primo passo. Conseguenza dell’oblio, di una distrazione. O semplicemente conseguenza della vita che continua a dispetto di tutto. Sto stendendo e pensando alla montagna, tutto ad un tratto mi dimentico delle stampelle e faccio il passo che separa lo stenditoio dalla lavatrice. Il mio primo passo. Non mi sono neanche accorta, semplicemente perché stavo facendo qualcosa di tanto semplice come stendere i panni. Devo ricostruirlo in mente per sapere che era impacciato, strambo e bello.
E’ arrivato il momento di iniziare la fisioterapia. Dolore. Dolore stordente. Dolore che non termina. Che assume nuove dimensioni e conferma che sono viva. Che continuo a vivere anche se Maxxi non tornerà più. Anche se Peter non scalerà il Monte Rosa e anche se non ho potuto evitare la sua morte. Dolore che ripete che il piede continua a vivere. Che migliorerà grazie al dolore”.
Così Isabel Suppé, di origine tedesca, che ha tre amori (le montagne, le parole e il caffelatte), parla sei lingue e ha scelto di vivere in Argentina, descrive la sua rinascita dopo un evento traumatico, avvenuto quando aveva 24 anni.
Lo fa nelle centottanta pagine del suo libro, pubblicato da Priuli &Verlucca, nella collana I Licheni, intitolato: “Una notte troppo bella per morire”, in cui le parole, a volte graffianti, si intrecciano fra accadimenti incontestabilmente reali, allucinazioni, morfina, sogni, miti infantili, lacrime, sorrisi e speranza.
E’ il 2010. E lei, scalatrice, si trova con un amico sulle Ande peruviane, gruppo del Condoriri, su una cima di 5500 metri, l’Ala Izquierda. Insieme provano ad affrontare una difficile via del ghiaccio. A soli 50 metri dalla vetta, uno schianto improvviso, un chiodo di ghiaccio esplode. Un volo di 400 metri. Lui sopravvive solo qualche ora, lei – la spina dorsale, protetta dallo zaino, miracolosamente illesa- ha una gamba spezzata in più punti, ma è viva. Si trascina per due giorni e due notti lungo il ghiacciaio tra dolori lancinanti e allucinazioni.
Dopo un avventuroso salvataggio, il lungo calvario di 14 operazioni e la lenta rieducazione, tra cliniche dove si respira l’alito della morte, i ricordi di un’infanzia felice con i nonni alpinisti, la voglia di riprendere ad arrampicare, nonostante il ricordo di Peter e l’assenza di Maxxi, Isabel ritorna a vivere. Certo, non si muove più come prima, è mutato il modo di scrivere i suoi passi e molti dei suoi sogni si sono sbriciolati in pochi istanti. Tante cose sono cambiate. E’ vero. Peter, che sognava di tornare in Australia per guardare le stelle con Nina, sua madre, é morto per aver fatto un passo di troppo.
Ma anche senza di Peter la vita deve continuare. Il desiderio di avventura, come quello di scrivere, la perseguitano.
Nove mesi dopo l’incidente, Isabel diventa la prima donna ad aver scalato in solitaria un’alta e rischiosa cima andina, Nevado de Cachi, ed esattamente un anno dopo, apre, con un compagno alpinista, un nuovo sentiero. Lo chiamano “The Birthday of the Broken Leg” (Il compleanno della gamba rotta). La scalatrice vuole arrivare all’Himalaya. Le piacerebbe organizzare una spedizione sull’Everest per raccogliere fondi necessari a realizzare il sogno di Peter: aprire una scuola per bambini in Pakistan.
Una storia appassionante, che vi consiglio di leggere, soprattutto se amate l’avventura. Conoscerete una donna coraggiosa, che ha visto il tempo distorcersi, i 400 metri travestirsi di eternità e la vita tornare a splendere. Isabel ha ripreso a scalare le montagne con l’aiuto delle stampelle e a girare il mondo con Ronzinante, una strana bicicletta orizzontale, che si muove con le sue braccia. Merito dell’amore per la natura, che sa anche incantarci. Il prossimo obiettivo è il deserto della Puna, tra Argentina e Cile.
L’edizione originale spagnola Noche estrellada è stata finalista al premio Desnivel de Literatura, quella inglese Starry Night al Boardman Tasker Prize.