Un bambino, quale sia il colore della pelle, la razza, la religione della sua famiglia, ovunque viva. Un bambino è sempre, solo, un bambino.
Appena fuori dal parcheggio del supermercato c’era uno zingaro che rovistava nei cassonetti. Un lungo ferro in mano per smuovere le buste e romperle, la testa infilata dentro e ogni tanto dal cassonetto tirava fuori qualcosa. Se era di suo gusto la metteva in un vecchio passeggino che teneva vicino, altrimenti la buttava a terra.
Vicino a lui c’era un bambino, o forse era una bambina, chi lo sa? Pioveva e teneva sulla testa il cappuccio di una vecchia felpa nera con la bordatura di finta pelliccia. Probabilmente anche quella un ricavato di qualche pesca dentro qualche cassonetto.
Rimaneva lì in piedi vicino allo zingaro, che ogni tanto gli allungava qualcosa e lui doveva tirare fuori le mani dalle tasche per prendere l’oggetto e infilarlo nel passeggino.
Il bambino – o forse la bambina, chi lo sa? – tremava di freddo, tanto che si vedevano le gambe muoversi sotto i pantaloni leggeri di una vecchia tuta. Tremava di freddo e appena poteva cercava di rimettersi le mani in tasca, così piccolo già così ingobbito e stretto su sé stesso.
Mi sembrava di vedere i brividi scuoterlo da dentro a fuori, agitare le sue ossa. Il bambino aveva la pelle scura di sporco. Il bambino forse aveva la febbre.
Ma stava lì immobile, a parte il tremore, accanto allo zingaro. Suo padre, suo fratello, uno zio? Chissà cos’era per lui. Stava lì immobile a tremare, ingobbito nella vecchia felpa nera con il cappuccio sulla testa.
Oggi fuori dal supermercato ho visto uno zingaro. Accanto a lui c’era un bambino. No, non ci sono riuscito a pensare “oggi fuori dal supermercato c’erano due zingari”.
Perchè, oggi fuori dal supermercato c’era uno zingaro e vicino a lui c’era un bambino. Perché un bambino è un bambino.
Un bambino, quale sia il colore della pelle, la razza, la religione della sua famiglia, ovunque viva. Un bambino è sempre, solo, un bambino. Che trema nel freddo.