Intellettuali: Nedda Falzolgher
di Luciana Grillo e Betti Postai
Sul Lungadige Sanseverino, non lontano dal centro della città, si trova la casa in cui abitò Nedda Falzolgher, nata nel 1906, in una solida e raffinata famiglia borghese.
Aveva solo cinque anni quando fu colpita dalla poliomielite che ne condizionò tutta la vita: rimase, infatti, paralizzata e la sua unica possibilità di movimento si limitò al braccio e alla mano sinistra, il suo corpo si spostava solo con la sedia a rotelle. Le fotografie dimostrano però che aveva uno sguardo intenso in un viso bellissimo, come bello e dolcissimo era l’animo suo.
Era intelligente e curiosa: seguita dalla mamma – Nedda e la madre erano legate da un’unione profonda – e da una maestra, imparò il francese e il tedesco e si dedicò con entusiasmo alla scoperta dei grandi classici greci, latini e italiani, senza trascurare gli autori contemporanei, da Pirandello a Montale, da Ungaretti ad Hermann Hesse.
Compose poesie pubblicate nel 1934 e nel 1949; infine, nel 1957, uscì “Il libro di Nil” un anno dopo la sua morte. Sempre, la Falzolgher, esprime una notevole forza interiore, una fede salda, anche se inquieta, una grande spiritualità; la critica nei suoi confronti è piuttosto tiepida, ci sono stati enfatici sostenitori e freddi studiosi, attirati più dal caso umano che dalla vis poetica.
In realtà, della Falzolgher va sottolineata la straordinaria capacità di coagulare intorno a sé, nella sua “casa a specchio sul fiume”, un gran numero di amici, soprattutto poeti che si esprimevano sia in dialetto che in italiano, come Augusto Goio, Diego Gadler, Antonio Pranzelores, Marco Pola, Arcadio Borgogno i quali talvolta improvvisavano componimenti scherzosi alla maniera degli stilnovisti. C’erano anche uomini di cultura, studiosi come i fratelli Franco e Luigi Bertoldi.Frequentava la casa anche una ragazzina la cui massima ambizione era quella di studiare all’Accademia di arte drammatica: Edda Albertini nel dopoguerra si sarebbe distinta come una delle più brave attrici italiane. Quegli incontri erano preziosi momenti di serenità sia per Nedda che per i partecipanti: non si parlava di politica, ma si portava in casa la vita del mondo “di fuori” che Nedda non poteva conoscere e in un certo senso ci si esercitava a poetare in amicizia, in un momento in cui le forme associative erano proibite.
Dopo lo scoppio della guerra la famiglia dovette lasciare la città per sottrarsi ai bombardamenti. Anche il gruppo di amici si sciolse. Per tutti la guerra significò sofferenza e perdite. Nedda restò quasi sola, la madre morì nel 1948, ma non si arrese. Si dedicò, infatti, anche alla riflessione politica e al discorso sociale. Si spense nel 1956, quando la sua città cominciava a risvegliarsi. Su iniziativa del Comune di Trento, per commemorarla nella ricorrenza del 20° della morte e onorarla rendendola familiare e conosciuta a un pubblico più vasto di quello cui era già nota, fu pubblicato un volume antologico con interventi critici ed illustrazioni di Remo Wolf, incisore di fama internazionale.
Nel 1975 l’amministrazione comunale le ha intitolato una via privata a est della città, in località Villazzano. Si tratta di un tracciato ad arco, tra colline e residenze prestigiose, che si affaccia sulla strada diretta al valico della Fricca e all’altopiano di Asiago.