Riflessioni semi-serie per sopravvivere “all’anno del food”.
di Annarita Triarico
Prima vennero gli chef.
Il sarcasmo al vetriolo di Gordon Ramsay, capace di far tremare perfino le padelle di Hell’s Kitchen. Le goduriose tentazioni di Nigella, pronte in un lampo – che quasi si cucinano da sé. La faccia da eterno bravo ragazzo di Jamie Oliver, con le sue immancabili camice a quadri. Il “vuoi che muoro?” di Joe Bastianich. Ma anche la patatina di Cracco, che si è beccata il cartellino rosso da parte dei puristi del food.
A noi italiani piace mangiare. E parlare di cibo. Ognuno di noi, a suo modo, si considera un esperto, un intenditore in qualcosa (un vino, una ricetta, una preparazione…). E non ci tiriamo di certo indietro quando si tratta di giudicare un piatto. Pensate forse che il cibo sia un argomento neutro? Provate a rivelare davanti a una tavolata di amici e parenti che siete vegetariani o vegani. O, meglio ancora, crudisti. Scatenerete reazioni verbali a catena da far impallidire la De Filippi. O una tifoseria di ultrà. Altro che diatribe politiche. Il “tutti d’accordo” su una cosa qualunque, fosse pure il giusto grado di cottura della pasta, è una pia illusione.
Quest’anno però le cose si fanno serie. C’è l’Expo 2015. Sono mesi che gli spot televisivi ci ricordano che abbiamo gli occhi di tutto il mondo puntati su di noi. Chissà se i protagonisti della recente bufera giudiziaria sugli appalti truccati hanno capito di aver preso una cantonata: l’Expo (cito dal sito ufficiale) “sarà il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione”. Capito? Loro invece credevano fosse il solito magna-magna.
Nessuno glielo aveva spiegato.
A ottobre, durante lo scorso Salone del Gusto a Torino, sono rimasta vari minuti ad esaminare una mappa virtuale di parte di Expo 2015. E non riuscivo granché a raccapezzarmici, colpa sicuramente del mio pessimo senso dell’orientamento. Al vicino stand mi hanno gentilmente consegnato del materiale informativo ufficiale gratuito: una sorta di guida del peso di quasi 5 etti.
Da allora mi faccio una domanda.
Come faranno i 20 milioni di visitatori attesi da ogni nazione del mondo a programmare e soprattutto a gestire la loro “food experience” rispetto ad un evento che comprende 1,1 milioni di metri quadri di superficie espositiva?
Si fa presto a dire “vado all’Expo 2015”.
E’ il tornare dall’Expo semmai il difficile.
Già mi immagino vagare tra stand e padiglioni, carica di deplian e cartelle stampa, con l’acido lattico che tortura sadicamente l’intera estensione dei miei arti inferiori.
Una maratona. Una grande abbuffata di tutto ciò che è legato al mondo del food.
Un “all you can eat” del settore.
Certo, con proposte scelte, ma sempre all’insegna del trionfo dell’over-size.
Insomma: come si fa a digerire una cosa gigantesca come l’Expo?
Avete presente i tipici banchetti di nozze, di quelli ancora in uso in alcune parti del sud Italia?
I nostri padri e i nostri nonni potevano mangiare ininterrottamente per ore senza risentirne. Noi, più sedentari e soprattutto abituati a una maggiore varietà e quantità di cibo nella nostra dieta quotidiana, non ne siamo più in grado.
Perché non abbiamo più la loro stessa fame.
Il cibo è “di moda”. Cucinare “è di moda”. Il food è diventato una moda di cui tutti i media si occupano. L’eccesso di spettacolarizzazione rende superficiale e consumistica la nostra percezione del cibo. Lo vogliamo a buon mercato, sempre disponibile e in gran quantità. Ne abbiamo smarrito il reale valore, perché non sappiamo più cosa significhi produrlo da zero. E finiamo per buttarlo dopo averlo conservato in frigoriferi che nelle nostre cucine sono diventati via via sempre più grandi. Nel frattempo, le risorse del nostro pianeta si assottigliano a ritmo impressionante e le sostanze inquinanti rendono la terra sterile e malata, la biodiversità è a rischio. Il nostro sistema alimentare, basato sul profitto a breve termine, strangola i contadini a favore della grande distribuzione e riduce alla fame le popolazioni dei paesi più poveri. Ottenere cibo sostenibile per tutti, evitando la schiavitù che vorrebbero imporci le multinazionali degli Ogm, è una sfida in pieno svolgimento. E’ c’è chi, in questa sfida contro poteri economici forti, ci rimette anche la vita.
Anche questo è il food. E chi fa del suo meglio per informarsi ed effettuare scelte d’acquisto consapevoli (cibo a Km 0, Gruppi d’acquisto, Commercio equo e solidale, boicottaggio dei prodotti delle multinazionali responsabili di crimini in paesi in via di sviluppo etc.) si ritrova sempre e comunque in minoranza.
Può, dunque, un’Esposizione Universale di questo tipo “nutrire il futuro”, come si propone?
“Stay hungry stay foolish” raccomandava Steve Jobs.
Ma nel caso del food, forse dovremmo seguire solo la prima parte di questo consiglio
2 commenti
E voi? Come “digerirete” l’Expo?
Non so come digerirò Expo, che mi inquieta assai. Sono contenta che, dopo una partenza un po’ priva di anima, si sia avviato il Protocollo di Milano: chi lo firma (e pare lo abbiano firmato in tanti, in tutto il mondo) si impegna a una sempre maggiore consapevolezza verso il valore del cibo e la lotta alla malnutrizione. Non mi è chiaro chi, dopo Expo, controllerà che questi buoni propositi vengano mantenuti. Da parte mia non spreco, compro meglio possibile dai contadini, cucino cose semplici e sane e variate, non ho particolari manie (in medio est virtus) ma temo sia facile, dopo una vita in cucina (non solo in cucina, ma qualcuno ci deve pensare, no?). In attesa di altri commenti da più giovani testimoni.