“Ho ripreso a vivere quando sono diventata consapevole che il mio giocattolo difettoso non si sarebbe mai aggiustato. Era lì e aveva bisogno di me. Ho messo da parte l’altro dolore e mi sono dedicata a lei”.
da tipitosti
Così Gabriella La Rovere, nata a Roma nel ’59, residente a Marsciano, nel Perugino, descrive la sua rinascita. Era una professionista affermata e aveva davanti a sé una brillante carriera.
“Tutto è cominciato una notte – racconta Gabriella – quando sentii Benedetta, che aveva un anno, gridare. Le sue urla non avevano niente di umano. Per farla calmare, le detti un antipiretico. Ero convinta che si trattasse di un attacco di otite. Il giorno successivo la portai da un collega otorino. Così è iniziato il mio calvario. Diagnosi su diagnosi.
Cominciai a capire che c’era qualcosa che non andava in mia figlia nel corso di una visita da un neuropsichiatra infantile. Benedetta non reagiva a nessuno stimolo. Fino a quel momento avevo attribuito la sua passività al carattere pacato di mia figlia, simile a quello di suo padre. Quel giorno la sorpresa. Sclerosi tuberosa, una malattia molto rara che condiziona un autismo secondario.
Una triste realtà. Non avevo scampo. Non potevo cedere. Dovevo rimboccarmi le maniche e lottare. Benedetta aveva bisogno di me. Sarebbe stato un atto contronatura abbandonarla e cedere al mio dolore. In quel periodo gli scontri con il mio ex marito si erano fatti più frequenti. La malattia di Benedetta ci ha separati per sempre. In genere un figlio disabile unisce o fa saltare un matrimonio. A me è capitata la seconda opzione.
Oggi è un padre presente, incontra Benedetta con una certa regolarità. Ma questo non alleggerisce il peso che ho dovuto sopportare da sola. Da sola ho percorso la strada che mi ha portata ad accettare la malattia di Benedetta e a perdonarmi. Agli inizi mi chiedevo perché fosse capitato a me. Ho imprecato, ho provato una rabbia indescrivibile. Poi ho capito che può succedere e devi solo essere determinato. Non puoi cedere alla tentazione di scappare o di deprimerti.
Sono andata avanti, certo tra pianti e momenti di disperazione, ma non per forza di inerzia. Ho capito che nessuno aveva colpe. Sono cresciuta. Oggi ho un nuovo compagno e finalmente scrivo, una passione che ho coltivato da quando ero bambina. Non lo nascondo, faccio tanti sacrifici, non frequento cinema, pizzerie e non ho giornate libere, ma sono orgogliosa di me.
A Benedetta avevano dato solo tre anni di vita. Oggi, a quasi 23 anni, parla non solo l’italiano ma anche lo spagnolo e l’inglese, suona le percussioni con grande talento ed è una ragazza felice. Inutile dire che ogni azione quotidiana, dormire, mangiare, stare in mezzo agli altri, camminare è una battaglia dove a volte ci sono alleati inaspettati, altre nemici stupidi o indifferenti. Ma oggi mi sento più forte”. Con la scrittura e la lettura, che tanta fortuna hanno avuto con Benedetta per aprirla al mondo, Gabriella aiuta altri ragazzi disabili del Centro Speranza di Fratta Todina (Pg).
Gabriella ha raccontato la sua storia nel libro “L’orologio di Benedetta” (Mursia), oggi in ristampa. L’orologio, richiamato nel titolo, è un vecchio swatch che, come si legge, è servito a far camminare carponi Benedetta, quando aveva tre anni, ma “è anche il nostro orologio – aggiunge il medico – quello mio e di mia figlia, su cui le lancette si muovono ad una velocità diversa da quella degli altri orologi”.
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