Una rubrica vuole coniugare leggerezza e filosofia, superficialità ed impegno
Le effimere e la fortezza
Questa rubrica si occupa di Leggerezza. E di come in essa spesso sia inaspettatamente custodita la forza.
Quisquilie, come diceva Totò: senza presunzione di grandi risposte, le grandi domande a volte sono abbarbicate dentro cose piccole, lì dove non ci si aspetterebbe di trovarle.
I gioielli, per esempio. O le scarpe e le borse… tutte quelle cose che spesso appaiono agli occhi di taluni, inutili fronzoli. Superficiali. E che sì, lo sono davvero al cospetto della malattia, della morte, dell’ingiustizia! Eppure… tutta questa superficie non può tacere. Perché? Non perché siamo frivole, ma perché cerchiamo continuamente oggetti che parlino. Che ci diano forza e spinta nell’ora in cui tutto cospira per farci tacere. La leggerezza custodisce, forse, segreti di profondità.
La sfida di questa rubrica è tutta qui. Nel voler coniugare leggerezza e filosofia, superficialità ed impegno.
Vediamo se riesce.
Intanto, a Calvino la nostra gratitudine per questo squarcio di bellezza e verità:
«Uno sciame di effimere volando in una fortezza si posò sui bastioni, prese d’assalto il mastio, invase il cammino di ronda ed i torrioni. Le nervature delle ali trasparenti si libravano tra le muraglie di pietra.
“Invano vi affannate a tendere le vostre membra filiformi” disse la fortezza.
“Solo chi è fatto per durare può pretendere d’essere. Io duro, dunque sono; voi no.”
“Noi abitiamo lo spazio dell’aria, scandiamo il tempo col vibrare delle ali. Cos’altro vuol dire essere?”, risposero quelle fragili creature. “Tu, piuttosto, sei soltanto una forma, messa li a segnare i limiti dello spazio e del tempo in cui noi siamo”.
“Il tempo su di me scorre: io resto” insisteva la fortezza. “Voi sfiorate soltanto la superficie del divenire come il pelo dell’acqua dei ruscelli”.
E le effimere:
“Noi guizziamo nel vuoto così come la scrittura sul foglio bianco e le note del flauto nel silenzio. Senza di noi non resta che il vuoto onnipotente e onnipresente, così pesante che schiaccia il mondo, il vuoto il cui potere annientatore si riveste di fortezza compatta, il vuoto-pieno che può essere dissolto solo da ciò che è leggero, rapido e sottile”. »[1]
[1] I. Calvino, Le effimere nella fortezza, in Id. (1994), Collezione di sabbia, Mondadori, Milano, 2011, p. 83