L’ultimo film di Tim Burton, Big Eyes, è dedicato a una pittrice americana degli anni ’50 e ’60.
Tutti abbiamo certamente visto le sue opere, benché siano relegate da almeno vent’anni al terreno della grafica da adolescenti: bimbi dagli occhi tristi e giganteschi, con corpi piccoli e sproporzionati, riprodotti su manifesti, quaderni, probabilmente calendari, grembiuli da cucina e cartoline. Sinceramente non ho mai pensato che fosse un’arte notevole e meno ancora avrei immaginato che dietro a quei volti stralunati ci fosse una storia perversa e affascinante come quella che ci svela Tim Burton.
La pittrice, ragazzina biondo platino tipica dell’America anni ’50, lascia il marito nelle primissime scene e la ritroviamo intenta a dipingere per i passanti su un viale (di San Francisco?) accompagnata dalla figlia, che è stata la sua prima – e per molto tempo unica – modella.
Ingenua e fiduciosa, viene presto abbordata da un altro pittore (l’attore Christoph Waltz, già visto come marito maltrattatore in “Acqua per gli elefanti”), che dopo due complimenti la invita a cena e finisce per sposarla. Da qui parte un incubo sottile e strisciante, dove il marito (mai stato capace di fare l’o col bicchiere) si trasforma da sollecito collaboratore in sfruttatore che plagia la moglie, fino al punto di costruire un vero impero su questi quadri gentili, che fa passare per suoi e che lo rendono famoso nel mondo.
Non rivelo nulla di segreto o inatteso (dato che sappiamo che la famosa è lei) se dico che a un certo punto l’artista si ribella, fugge con la figlia, si ricostruisce una nuova vita e trascina il marito in tribunale per una gustosa e meritata umiliazione. Rimessa al giusto posto l’immagine di entrambi, la moglie si ritrova ricca e famosa e tutto finisce bene.
Ma perché una donna per avere successo deve attraversare prima un personale calvario che richiede uno sforzo emotivo titanico? È vero, la mentalità che ha originato questo dramma è quella degli USA anni ’50-’60, sperabilmente ormai superata e sepolta (ma non ne sarei tanto sicuro…), ma quanti aspetti dell’educazione da “ingenuo vaso da fiori” sono ancora attivi tra noi, tramandati più o meno coscientemente di madre in figlia, fino a quando una figlia si scontra con un maltrattatore o approfittatore?
Insomma, un film che fa riflettere e che meriterebbe una certa attenzione.