Un anarchico, un venditore di vasi da notte, una donna che non vuole sposarsi, un banditore cieco, una figlia che immagina favole, un padre abile nel distruggerle. Sono i personaggi del primo romanzo di Carmen Pellegrino.
da tipitosti.it
Cadon le foglie, cadono da lungi come fioccando da remote selve che avvizziscan pei cieli. Ed è, nell’atto, quasi una volontà d’annientamento.
Lungo le notti, la terra, pesante cade, dagli astri, nella solitudine. Tutti. cadiamo. Questa mano, cade. Guàrdati intorno!… E tutto, intorno, cade.
Ma uno Spirito v’è, che questo immenso universo cadere, entro le mani, con insonne pietà, regge ed eterna.
Rainer Maria Rilke
Un anarchico, un venditore di vasi da notte, una donna che non vuole sposarsi, un banditore cieco, una figlia che immagina favole, un padre abile nel distruggerle.
Sono i personaggi del primo romanzo di Carmen Pellegrino, di professione abbandonologa, intitolato Cade la terra e pubblicato di recente da Giunti, ambientato in una realtà in disfacimento, Alento, dove si fa fatica a distinguere la vita dalla morte, ma dove forte è il desiderio di resistere al tempo che, scorrendo, porta case, strade e anche relazioni alla rovina. Estella è la protagonista, ed è quella che cerca con tutte le sue forze di invertire il destino di alcuni personaggi, di riempire con il suo amore la loro triste esistenza, ma, soprattutto, prova a tenere in vita la più difficile delle utopie: far coincidere la follia con la morale. Alento è una dimensione surreale, lo spazio dei “nati morti”, che vuole essere strappato alla terra, ma che nello stesso tempo non rinuncia ad esserne il frutto, in un tormento continuo. http://www.magazine.tipitosti.it/articolo/carmen-pellegrino–uno-mattina-caffe-ruderi–stifter-sebald-edward-morgan-forster/
Carmen, il titolo del romanzo deriva da una poesia di Rilke. Perché questa scelta?
Rilke, nella sua Autunno, fa riferimento a questo cadere che è di tutti, e all’infinita dolcezza di una mano che poi ci tiene. L’ho scelto perché credo nella forza di chi sopravvive nonostante certi dolori, confido nelle cose che resistono a questo incessante cadere. Se dovessi nominarla in qualche modo, la chiamerei ‘forza degli scampati’, questa salvezza fragile dei sopravvissuti.
E Alento cosa rappresenta?
Da un punto di vita geografico, è Roscigno Vecchia, borgo abbandonato del Cilento, ma simboleggia molti dei borghi desolati che mi è capitato di vedere. C’è un dato personale: sono nata in un posto scampato, con intorno diversi borghi abbandonati, ho vissuto a lungo in un casolare – oggi non più abitato – con i miei nonni che invecchiavano velocemente mentre io crescevo. In montagna si invecchia più in fretta che altrove, è una legge della fisica. Certi giorni sembrava che quel casolare ci dirupasse addosso, specie nei giorni di venti imbrogliati. E’ rimasta fissa in me, e definitiva, l’immagine di quella casa piena di spacchi.
Estella sei tu?
Scrivere è sempre un po’ ‘autobiografia dell’ombra’. C’è qualcosa di me in Estella, ma anche in Marcello, in Cola Forti, e in Maccabeo, persino in Gedeone, il cane pazzo di Estella. Tuttavia, nessuno di questi mi assomiglia.
Solitudini, morte, parole d’amore che rimangono impronunciate, una piccola realtà che sta per franare, eppure Cade la terra è per te un inno alla vita.
Esatto. E’ frutto di una ricerca specifica, che è anche una postura, il mio modo di stare nelle cose: cerco la vita là dove non la si sospetta, nelle anse in cui si è nascosta. Così, consentire alle pietre scabre di parlare, risuonare tanto più ora che hanno ormai perduto la destinazione d’uso, è mettersi in ascolto della vita che dicono, prima ancora che della morte, le attraversa.
Da anni ti occupi di Comuni, oggetti abbandonati. Cosa c’è dietro questa passione?
Mi pare che un borgo abbandonato sia quanto di più vicino possa esserci alla parte più profonda e forse più autentica di noi. Il tempo può andare avanti e indietro come un matto. D’improvviso si aprono squarci che ci mettono in contatto con ciò che eravamo. In un paese abbandonato può tornare il tempo o può sospendersi. Interi decenni possono essere percorsi in un soffio. Basta entrare in una casa abitata negli anni ’20 e, subito dopo, entrare in una abitata negli anni ‘80; si può addirittura cercare di cambiare i destini, ora che il destino che ha infuriato per anni si è concluso. C’è dietro forse un modo della resistenza: provo a resistere così a un presente sempre più vacuo, che non m’intriga, lanciato com’è verso non si sa cosa. C’è poi anche il desiderio di cercare un posto in cui stare, anche solo per poco. Una dimora provvisoria in cui posso restare in silenzio e sentirmi a casa, una casa qualunque.