L’Italia è uno degli ultimi nove Stati europei (insieme a Grecia, Polonia, Slovacchia e altri Stati minori) che ancora non prevede alcun tipo di tutela per le coppie omosessuali; comprensibile è quindi l’attesa e l’entusiasmo per l’approvazione del testo base del ddl Cirinnà, votato il 26 marzo dalla commissione Giustizia del Senato, con una maggioranza trasversale composta da PD, M5S e Psi, e con l’opposizione di Ncd, Forza Italia e Lega.
(Avv. Cristina Mordiglia) 01/04/2015
Il testo cerca di unificare i naufragati precedenti tentativi: negli anni ’80 la prima proposta avanzata da Arcigay, nel 2006, durante il secondo governo Prodi, il tentativo di introduzione dei Pacs, su base del modello francese, nel 2007 si è parlato di Dico (diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), poi, negli ultimi due anni, altri testi sono stati presentati e questo, approvato la scorsa settimana, ne rappresenta l’unificazione.
Certo è che la strada sarà ancora lunga perché il provvedimento deve ancora affrontare entrambi i passaggi parlamentari, e con una agguerrita opposizione.
Del resto, lo stesso Parlamento europeo, preso atto della necessità di regolamentare uniformemente la materia anche alla luce del fatto che la maggior parte degli Stati europei ha già provveduto alla legalizzazione del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, da tempo ha incoraggiato le Istituzioni degli ultimi Stati membri della UE che non avevano ancora provveduto ad adeguarsi e comunque a contribuire attivamente alla riflessione sul tema.
Da una prima lettura completa del testo tuttavia, appare chiara la volontà, anche coraggiosa, di equiparare totalmente le unioni omosessuali a quelle eterossessuali unite in matrimonio, con il solo limite, anche se non da poco, di non potere adottare un minore, italiano o straniero, dichiarato in stato di abbandono, come possono fare le coppie eterosessuali.
Viene estesa alle unioni civili tra persone dello stesso sesso solamente la cosiddetta Stepchild Adoption, cioè l’adozione del bambino che è già riconosciuto come figlio di uno solo dei due.
Persone dello stesso sesso possono quindi costituire un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni.
Presso gli uffici dello stato civile di ogni comune italiano deve essere istituito il registro delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. I matrimoni contratti all’estero, e i matrimoni nei quali un coniuge abbia cambiato sesso, potranno essere riconosciuti come unioni civili.
Per il resto si applicano alle unioni tutte le disposizioni previste per il matrimonio: le parti diventano reciprocamente familiari e sono equiparate ai coniugi ad ogni effetto. Il cognome della famiglia viene scelto liberamente tra i due cognomi delle parti o potranno essere adottati entrambi.
Vengono riconosciuti alla coppia tutti i diritti di assistenza sanitaria, carceraria, unione o separazione dei beni, subentro nel contratto d’affitto, reversibilità della pensione e i doveri previsti per le coppie sposate.
Qualche dubbio interpretativo lo pone, a mio avviso, l’articolo sullo scioglimento dell’unione, che viene previsto per accordo comune o per decisione unilaterale, non essendo chiaro se, in caso di conflitto, esiste l’intenzione di rinviare tout-court alla normativa che regola la separazione personale e allo scioglimento dei matrimoni.
Il testo riconosce alcuni diritti e tutele di base anche alle coppie conviventi, cioè alle coppie omosessuali che non vogliono essere registrate come unione civile o alle coppie eterosessuali che non si vogliono sposare.
La coppia deve convivere da almeno tre anni o da almeno un anno in presenza di figli comuni, e già qui ci si domanda se sia sufficiente la residenza comune o serva qualche ulteriore requisito (anche per evitare facili strumentalizzazioni).
Ciascun convivente acquisisce il diritto di assistenza in caso di malattia, di decisioni in materia di salute, il diritto di abitazione e di successione nei contratti di locazione (diritto ormai da tempo riconosciuto anche dalla giurisprudenza, per lo meno per le coppie eterossessuali) ed un obbligo alimentare alla cessazione del rapporto, proporzionato alla durata della convivenza.
Riconosce poi la facoltà di stipulare un “contratto di convivenza” avanti ad un notaio, e qui si entra in un tale ginepraio di possibilità e condizioni che viene da chiedersi se due persone, che non sono inclini a formalizzare un matrimonio, abbiano invece la voglia di impegnarsi nella stipula di un accordo molto più dettagliato che deve affrontare condizioni su misura, non facili da prevedere all’inizio della convivenza, ma che ben potrebbe trasformarsi radicalmente in futuro.
Insomma, tanto spazio alla contrattazione è terreno assai minato che potrebbe contribuire, da un lato a disincentivarne l’uso, dall’altro a prestare il fianco a dubbi interpretativi tali da alimentare il contenzioso nei casi in cui si dovesse pervenire alla conclusione del rapporto affettivo.
E’ questa una prima nota informativa su un cambiamento radicale di costumi e valori del nostro paese che certamente dovremo monitorare ancora perché questo è, ribadisco, solo il primo, faticoso, passo di un percorso che, sebbene intrapreso con grande ritardo, si preannuncia ancora lungo e tortuoso.