Un’esistenza privilegiata, quella di Aqsa Mahmood.
Nata e cresciuta a Glasgow in una famiglia borghese, ha frequentato le migliori scuole cittadine. I suoi interessi non sono diversi da quelli dei coetanei: musica rock, Harry Potter, shopping.
Il culto religioso a cui appartiene, l’Islam, non è mai stato un ostacolo alla la sua integrazione sociale.
Ma giunta all’età di 19 anni qualcosa accade. Con la “benedizione paterna di Allah” Aqsa decide di lasciare la Scozia alla volta della Siria per abbracciare la causa jihadista con il nome di Umm Layth. Li si sarebbe poi sposata con un guerrigliero e avrebbe assunto incarichi di una certa rilevanza. Uno tra tutti: il reclutamento e il controllo del donne destinate a diventare “schiave” del Califfo.
In sostanza, si tratterebbe di convincere le malcapitate “prescelte” dalla sorte a non opporre alcuna resistenza nel soddisfare i desideri del loro “signore e padrone” e di aiutarle ad adattarsi nel modo più consono alla loro nuova condizione (sic!).
In questa vicenda suscita una certa impressione il fatto che il ruolo di carnefice delle donne sia un’altra
donna: a dispetto della tanto decantata solidarietà femminile, la tendenza al dominio sul prossimo, in certi casi, prescinde dal genere di appartenenza. É cosa arcinota.