Fare ricerca in Italia nel settore della ricerca non è per niente facile ma Giorgia Purcaro ha tenuto duro Perchè ha un sogno: trasmettere passione, dedizione e metodo alle nuove generazioni di ricercatori.
da Tipitosti
Ha avuto la possibilità di trasferirsi per lavoro in Tasmania (Australia). Ci ha pensato per qualche mese. Alla fine ha deciso di rimanere in Italia. Da aprile scorso è direttore di ricerca e sviluppo alla Chromaleont srl, una start up dell’Università di Messina. http://www.chromaleont.it/
“Se tutti se ne andassero – si è detta – che fine farebbe il nostro Paese? E’ vero, nel mio settore non si fanno sufficienti investimenti, ma voglio continuare qui. Seppure estremamente difficile e spesso frustrante, riuscire ad affermarsi in Italia ti fa sentire più forte e gratificato. Consiglierei ai ricercatori di cercare di non mollare. Possiamo, anzi, dobbiamo contribuire al cambiamento dell’Italia”.
A parlare è Giorgia Purcaro, nata nel ’78 a Montebelluna (Tv) e residente a Messina, laurea in Scienze e tecnologie alimentari nel 2002, Dottorato in chimica degli alimenti nel 2008. Era nella lista degli scienziati specializzati in chimica più giovani e migliori al mondo, la top40under40, compilata l’anno scorso dalla rivista internazionale “The Analytical Scientist” .
Nel 2010 ha vinto un premio di cui è orgogliosa, dedicato a giovani ricercatori (Leslie Ettre Award). E di recente ne ha avuto un altro, che ritirerà alla fine di maggio ad un convegno in Texas (USA), dove si incontreranno ricercatori che hanno dato un contributo significativo al settore della scienza della separazione ed in particolare allo sviluppo di una tecnica, nata nel 1991 e che si chiama comprehensive multidiensional gas chromatography.
Il premio è intitolato al suo inventore, John Phillips. “Tutto questo è molto gratificante – dice – ma ha richiesto impegno, tanta dedizione e numerosi sacrifici. Fare ricerca in Italia nel nostro settore non è per niente facile. Soprattutto per le donne. E’ faticoso conciliare famiglia e ricerca. Tutto diventa più difficile se il lavoro è precario, se non viene premiato il merito. In più mancano i fondi. Ma cerco di non abbattermi.
Ho sempre confidato sul fatto che la qualità prima o poi paga e ho cercato di non disperdere mai troppe energie a pensare che avevo solo contratti precari. Mi sono data da fare per cercare contatti e finanziamenti all’estero. Lo scorso anno ho pensato di trasferirmi in Tasmania (Australia). Mi avevano offerto una collaborazione in una Università, ma poi mi sono detta: Se tutte le persone più capaci se ne andassero dall’Italia, non sarebbe più possibile far cambiare questo Paese. Insomma non ero ancora pronta a darmi per vinta qui. Sono rimasta e continuo a lavorare per elaborare metodi e strumenti innovativi per l’analisi sempre più approfondita degli alimenti e degli agenti contaminanti. In questo periodo sto cercando di avvicinarmi al mondo dell’analisi bioanalitica.
Vado avanti perché ho un sogno: trasmettere passione, dedizione e metodo alle nuove generazioni di ricercatori, ed in particolare di questa start up siciliana, una bella realtà. Ho visto che non siamo pochi a credere che in Italia si possa e si debba fare qualcosa. Si sa, i ricercatori in Italia avrebbero bisogno di maggiore stabilità, riconoscimento basato sul merito e non solo sull’anzianità, di maggiori fondi a chi lavora e realizza risultati, di una semplificazione burocratica. Detto e ridetto. Non ci stanchiamo di ripeterlo. Ma solo perché in questo Paese vogliamo rimanere”.