E’ l’interesse stesso verso la scienza e la tecnologia, da parte delle bambine e delle ragazzine, che è spesso scoraggiato nella scuola e in famiglia. Ne parliamo con Fiorella Operto, presidentessa della scuola di Robotica che afferma ”Sono convinta che la robotica sia “roba” per menti brillanti e creative, maschi e femmine”
Fin da piccola Fiorella ha imparato ad amare e a studiare sia le materie scientifiche sia quelle umanistiche. Dopo gli studi di filosofia, ha lavorato in una editrice statunitense e poi in una casa editrice italiana presso la quale ha contribuito a dare vita a una bella collana di libri di divulgazione scientifica.
Quindi sei partita dall’editoria?
Sì, è stato un periodo straordinario, durante il quale ho conosciuto e intervistato a lungo grandi nomi della fisica, della biologia, della chimica, della storia, letteratura. Una grande emozione è stata trascorrere alcuni giorni con Margherita Hack, l’astrofisica; con il fisico Dennis William Sciama, uno dei padri della moderna cosmologia, un personaggio chiave nello sviluppo della fisica del dopoguerra, con una famosa “discendenza” di studenti. In una Gerusalemme accaldata di clima e di guerra ho intervistato Jacob Bekenstein, fisico teorico israeliano, che ha contribuito alla fondazione della termodinamica dei buchi neri e ad altri aspetti del rapporto tra informazione e gravitazione. E ho ascoltato le poesie in lingua di Yehuda Amichai. George Duby, il grande medievista, con una generosità senza eguali mi ha concesso il suo tempo, già molto malato. Ho intervistato il geniale storico della medicina Mirko Grmek; il matematico Benoît Mandelbrot; Freeman Dyson; il Premio Nobel per la Chimica Max Perutz, che mi raccontò i suoi dieci anni e oltre trascorsi nel famoso Laboratorio Cavendish di Cambridge sulle diffrazioni dei raggi da cristalli di proteine fino a riuscire a determinare la struttura dell’emoglobina.
Ci parli della tua scuola di robotica? Come e’ nata e perchè?
Dal 1998 al 2004 ho collaborato con il Reparto Robotica del Consiglio Nazionale per la Ricerca in Italia per promuovere la conoscenza e la comprensione della nuova scienza robotica. Nel 2000 ho co-fondato con il robotico Gianmarco Veruggio l’associazione Scuola di Robotica, di cui oggi sono Presidente. Nel 2004, quando Veruggio ha lanciato l’idea della Roboetica.
Cos’è la Roboetica?
E’ un’etica applicata che disciplina la progettazione, produzione e uso dei prodotti robotici, ho contribuito nello stesso anno alla realizzazione del Primo Simposio Internazionale sulla Roboetica, alla Villa Nobel di Sanremo. Da quell’anno la Roboetica è entrata a far parte delle discussioni sull’impiego dei robot ed è un’Etica Applicata molto dibattuta. La Scuola di Robotica Scuola di Robotica è nata ufficialmente nel 2000, anche se funzionava già da due anni come ente dedicato alla formazione dei docenti. È nata a Genova, ma operiamo in tutta Italia, con progetti in Europa.
Negli anni Sessanta, i primi robot erano progettati sostanzialmente come degli amplificatori della forza lavoro umana nell’industria pesante. Oggi, grazie alle attuali tecnologie informatiche e cibernetiche, alle nuove conoscenze della biomeccanica, delle neuroscienze e delle reti la robotica è entrata in una nuova era la cui sfida è traghettare il settore da una generazione di macchine in grado di relazionarsi solo con oggetti a una generazione di sistemi evoluti in grado di relazionarsi con le persone e le macchine stesse: i robot di servizio. Tra questi, possiamo collocare i kit robotici educazionali che sono impiegati abbastanza diffusamente, fin dalle elementari, per sostenere l’apprendimento di concetti fondamentali di matematica, fisica, programmazione e per promuovere le competenze degli studenti. Il robot è un oggetto fisico che si muove nell’ambiente e che costituisce, per bambini e ragazzi, un oggetto molto concreto con cui misurarsi, uno strumento con cui imparare. Tra i vantaggi, indicati da molti insegnanti, dell’impiego di robot mobili nella scuola vi è la necessità, da parte degli studenti, di confrontarsi con i problemi dell’incertezza del controllo. I robot mobili mostrano un comportamento incerto, dovuto alle notevoli variabili dell’ambiente in cui operano. Riuscire a fare in modo, per esempio, che un piccolo robot mobile segua una linea definita, comporta una programmazione di base mediante la quale gli studenti esercitano e sviluppano il pensiero logico. E lo fanno divertendosi.
Quelle descritte sono soltanto due delle iniziative avviate da Scuola di Robotica. A cui si aggiungono altre, di grande successo, come Robot@Scuola, avviata nel 2005 in collaborazione con il ministero dell’Università e della Ricerca, che ha coinvolto più di cento istituti di 15 regioni diverse. Altri progetti prevedono l’impiego di kit robotici per il cosiddetto “lifelong learning”, l’apprendimento nell’arco di tutta la vita, in grado di coinvolgere sia i principianti, per avvicinarli alla robotica, sia gli esperti in programmazione, per rinfrescare e aggiornare le loro conoscenze.
L’idea è portare i robot didattici anche all’interno delle famiglie coinvolgendo tutte le generazioni, dai nipoti ai nonni.
Poche ragazze si interessano alla programmazione? Perché?
Problema complesso. Le nostre società, seppure tecnologiche, non sfruttano una risorsa di fondamentale importanza che unisce intelligenza, creatività e forza lavoro: le donne nella scienza e nella tecnologia. Le indagini in merito rilevano una mancanza di studentesse nelle discipline scientifiche, e in particolare in quelle ingegneristiche. Al basso numero di iscrizioni alle facoltà di Ingegneria corrisponde, purtroppo, un ulteriore 5’% di abbandono da parte delle studentesse dei primi due anni.
La presenza femminile negli Istituti tecnici è bassissima. Il problema del basso numero di presenze femminili nelle professioni scientifiche rispetto alla maggiore quota maschile è duplice: da un lato, la carriera delle donne in questi ambiti non è favorita, anzi, spesso è ostacolata – direttamente o indirettamente. Inoltre, è l’interesse stesso verso la scienza e la tecnologia, da parte delle bambine e delle ragazzine, che è spesso scoraggiato nella scuola e in famiglia, per un’errata proiezione delle aspettative professionali. Eppure, la differenza di opportunità nella vita tra i generi è uno dei misuratori dell’equità di una società.
Una società giusta deve tenere sotto controllo diversi parametri relativi al proprio andamento; tra questi la valorizzazione e la promozione delle competenze femminile nella scienza e nella tecnologia. Non è sufficiente realizzare progetti speciali per le donne e le ragazze, ma che è necessario introdurre in ogni progetto scolastico, in ogni curriculum, una particolare sensibilità al problema. Quando vari elementi della società operano per minimizzare gli effetti degli errori nella educazione delle ragazze, i risultati sono evidenti.
Quindi la robotica non è cosa solo da uomini?
Sono convinta che la robotica sia “roba” per menti brillanti e creative, maschi e femmine. Per avere più donne ingegneri bisogna però iniziare da piccole per insegnare che la scienza non è una materia da maschi. Molto successo ha avuto questo progetto, che è stato chiamato Roberta, che insegna alle bambine già a sette, otto anni i rudimenti della progettazione utilizzando mattoncini Lego, motori elettrici e un software per il controllo. Il progetto ha tre anni di vita e per il momento non è facile capire se le nostre “Roberte” diventeranno delle brillanti scienziate. Il mio sogno sarebbe quello di allargare queste sperimentazioni anche ai bambini e bambine che subiscono il disagio di vivere in zone urbane periferiche e disagiate: per loro, studiare è un sogno, non una punizione.
Parlando di Roboetica, spesso vengono in mente le famose Tre Leggi di Asimov; “Un robot non deve recare danno a un umano”, ecc. Bell’esempio di anticipazione letteraria, di vision di un artista, che era anche un ricercatore. Ma le Tre Leggi sono, appunto, un’immagine letteraria. Occorreranno anni di sforzi per far accettare la necessità che l’uso dei robot sia regolamentato da norme ELSA (Ethical, Legal and Societal Aspects).
Credo che la prima domanda da porci sia: Dove va la robotica? O, meglio: “In quale direzione vogliamo che vada?”. Ci troviamo di fronte ad una nuova disciplina (alcuni sostengono, una nuova scienza), i cui paradigmi sono ancora allo stato nascente. La Robotica, infatti, è una scienza emergente nata dalla fusione di molte discipline appartenenti al campo delle scienze umane e di quelle naturali. Chiunque, anche da amatore, si avvicini a essa, ne riconoscerà le mille strade e rivoli che caratterizzano il fiorire di una rivoluzione scientifica, che invade i campi tradizionali del sapere e che impone problemi nuovi e complessi di natura etica, filosofica, religiosa.
Le questioni etiche poste dalla Robotica rientrano, da un lato, nel generale quadro relativo all’impiego dei prodotti della scienza e della tecnologia, e riguardano le responsabilità del progettista di programmi di computer e di robot, quelle dei produttori e dell’utente nell’impiego di tecnologie sofisticate. Nello stesso tempo, lo sviluppo delle interazioni tra uomini e robot, e le connessioni sempre più strette tra ricerche robotiche e scienze biologiche e sociali, per scopi di studio dell’essere umano e delle società, e a scopi applicativi, sollevano nuovi problemi.
Come vedi il futuro?
Nel prossimo futuro, la comunità dei robotici svilupperà macchine il cui comportamento sarà il risultato emergente e, per certi versi, imprevedibile, dei progetti e delle decisioni assunte sia da umani sia da altre macchine. Inoltre, l’interazione e l’integrazione fisica di esseri umani e sistemi robotici sta crescendo esponenzialmente. L’impatto sociale, economico, psicologico, filosofico ed anche spirituale di queste ricerche non è ancora chiaro, ma certamente richiede una precisa analisi e attenzione da parte della comunità dei robotici. Infatti, a differenza di altri sistemi tecnologici, seppure sofisticati – come l’energia nucleare – o di altre discipline – come la bio-ingegneria – la robotica realizza macchine intelligenti ed autonome, che non sono soltanto oggetti tecnologici ma, sempre più, soggetti dotati di capacità decisionali.