Anche se disoccupato deve all’ex l’assegno per il figlio
Con un decreto del 15 aprile 2015, il Tribunale di Milano, ha sancito che “Un genitore, anche se disoccupato, deve versare all’ex coniuge l’assegno per il mantenimento del figlio che non vive con lui. È quanto ha stabilito il Tribunale di Milano forte del principio che, in caso di divorzio o separazione, bisogna comunque garantire al minore lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio. A tal fine è stato chiarito che lo stato di disoccupazione, anche se incolpevole, non esonera dall’obbligo di mantenimento. Inoltre, per determinare la somma del contributo, non bisogna tenere tanto in considerazione le entrate derivanti dall’attività professionale svolta dal padre o dalla madre. Bensì la valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita del bambino”.
L’importanza di questo decreto deriva essenzialmente dal riconoscere l’impossibilitò di uno dei due genitori a non partecipare, per la propria parte, alle spese necessarie per la crescita del proprio figlio. Troppo spesso si è ricorsi alla mancanza di un reddito da lavoro per sottrarsi alle proprie responsabilità verso il minore. Purtroppo in caso di separazione, come in tante altre e forse più drammatiche circostanze, i bambini sono la parte più debole e più colpita dall’inadeguatezza degli adulti che dovrebbero tutelarli.
Troppo spesso ci si compiace di parlare in difesa di diritti umani, senza accentuare quanto essi sino in parte o totalmente sottratti ai minori.
Il nostro Paese, solo nel 1991, ratificò quanto, nel 1989 l’Assemblea Generale dell’Onu aveva approvato con la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Fu questo il primo Trattato internazionale giuridicamente vincolante che introdusse l’idea del bambino come “soggetto di diritti invece che come mero oggetto di tutela e protezione e affiancò a diritti universalmente riconosciuti e sanzionati (quali il diritto al nome, alla sopravvivenza, alla salute, all’istruzione), una serie di diritti di nuova generazione (come il diritto all’identità legale del bambino, il rispetto della sua privacy, della sua dignità e della libertà d’espressione)”.
Se la giurisprudenza deve però ancora intervenire, troppo spesso, su questioni dirimenti il rapporto adulti-genitori-minori, è la dimostrazione che la Convenzione resta ancora oggi in larga parte inattuata.
L’avere identificato dunque sul piano internazionale, alcuni principi guida da considerarsi universali ed averli convalidati in un trattato, considerato tuttora una delle “ delle più importanti conquiste del diritto internazionale, che ha riconosciuto ufficialmente i diritti dei bambini come persone, sullo stesso piano di tutti gli altri membri della società”, l’avere identificato in essi l’ispirazione a modifiche delle legislazioni nazionali nella direzione di una maggiore tutela dei bambini, nel pubblico come nel privato, ebbene esso non raggiunge ancora la garanzia del loro rispetto.
Non sempre però quello che la politica intende come bene comune risponde al bene individuale.
Se la comunità deve intervenire, attraverso le istituzioni e i servizi, a prendersi cura delle nuove generazioni è però sempre la famiglia a doversene fare carico materialmente
Il compito impegnativo, che prevede e richiede come requisiti di base nella relazione con il minore, quali “maturità affettiva, sensibilità, e competenza relazionale” si associa , a pari importanza, la capacità di mantenimento di un figlio.
Se e come è, spesso la famiglia si trova nell’indigenza o comunque in presenza di scarse risorse economiche è giusto che vengano messe in atto le politiche sociali previste dal nostro ordinamento.
Se, al contrario, accade che ci si trovi di fronte ad insolvenza per indifferenza, o peggio si adduca alla mancanza di un lavoro stabile (oggi purtroppo da considerasi un dato frequente) appare giusto che, come ha fatto il Tribunale di Milano, un giudice intervenga a garantire l’espletamento di un dovere verso un minore.
Se, soprattutto, la generazione adulta vuole trasmettere ai giovani, iniziando dalla minore età, i valori di una società non basata sull’edonismo ma piuttosto sulla consapevolezza della partecipazione di ciascuno alla crescita umana, sul principio che è necessario operare per un bene comune, gli adulti-genitori devono dimostrare, per primi, di non sottrarsi ai propri doveri e a ricercare modi e tempi per ottemperare ad essi senza bisogno di dovere ricorrere in un giudizio che non sia quello umano.