Tina voleva il mare e il mare se la prende, Tina combatti, Tina nuota, salta le onde
di Roberta Paraggio
Tina voleva il mare e il mare se la prende, Tina combatti, Tina nuota, salta le onde.
Il mare ti ha preso, ti attacca i vestiti addosso, non volevi morire con le autoreggenti smagliate.Tanto Tina, non ti troveranno, a mare butteranno garofani, fiori bianchi e corone.
Li sotto ci sarai tu, navighi lontano ormai, lontano da Anselmo, che lui, il mare l’ha sorpreso sudato, come lo avevi sempre immaginato nelle notti in cui sudavi tu e avevi freddo, ti giravi e rigiravi sulla poltrona sfondata, il portariviste come poggiapiedi, dentro tanti numeri vecchi di postalmarket, l’amaro tra i denti e voglie che non sapevi di avere e che trovavi nel cuscino per la cervicale dietro la nuca.
“Che scuorno Tina”, così diceva tua madre, “lo scuorno di una femmina sola, dove va una femmina sola, perdonalo che tutti gli uomini sono così e tutte le femmine fanno così…”
Tina, che pensavi, che il mare ti sarebbe bastato? Che la felicità era fumarsi una sigaretta sul balcone mentre potavi il gelsomino cileno e aspiravi il fumo di nascosto, che Anselmo non lo doveva sapere.
Ma nei suoi baffi la sentivi la puzza di Galoises, Nazionali senza filtro, Linda blu e rosse..”Tina, che vuoi, tutti fumano al biliardo, Tina che vuoi, non rompere i coglioni”
Sei arrivata alla fine della salita del Carmine, devi solo citofonare, ti guardi nel vetro verdefumo del portone, tra le stecche di anticorodal la tua faccia è quella di una donna che tradisce, che ama, che ha puntato tutto, ed è rabbia e amore che ti fa scintillare gli occhi bistrati.
Ti sistemi i capelli, ti senti come quando ti staccavi dai capelli gli elastici a palline che ti tiravano sulle tempie, correvi e cantavi dimmi la veritàààà..la veritàààà…
Citofona Tina, fatti 7 piani a piedi per far calare la tensione. E’ la paura, la voglia, la vendetta?
Cos’è che ti fa agitare così, che non ti fa vedere il marmo degli scalini ogni volta che Sali.
Il portone fa TIC, lui non chiede chi è, lo sa che sei tu, è solo, ti aspetta, ti vuole, ti lascia un odore che non è il tuo, e Anselmo non lo sente, non se ne accorge, non si accorge mai di niente lui.
Lo senti adesso il mare Tina, non sembra neanche tanto lontano, lo vedi il mare, si affaccia tra i palazzi all’inizio della salita, arriva alle palme che stanno morendo col punteruolo rosso, poi si prende le giostrine, il torpedone, il brucomela e il gonfiabile a forma di castello giallo rosso e blu.
Si prende le macchine in doppia fila, le sedie rosse e le puttane appollaiate sugli sgabelli, si prende Anselmo con le braghe calate e le mutande di lana beige, cerca di acchiappare il portafogli, dentro ci sei tu, la vostra foto “ Saluti da Gioiosa Jonica”, sullo sfondo, un viadotto di cemento armato, e voi scintillanti, tu con il tupè e i sandali alla schiava bianchi che fanno pendant con gli occhialoni.
Ce la fai Tina?
Non pensare, non guardare giù il mare che arriva, la gente che scappa, che urla, che arraffa, che non ce la fa.
E tu, sei arrivata fin lassù, sei arrivata da lui e non sei entrata.
Non lo puoi più vedere Anselmo ed è meglio così, l’acqua già lo gonfia, galleggia in un orgasmo di mare a merda che fanno tutt’uno, non lo devi sapere, non lo devi vedere, che quel briciolo di pietà non si trasforma in amore, non più , non adesso. Anselmo era un corpo morto che ti ciondolava dentro, Anselmo era la perfezione della sua assenza, era solo l ‘amaro che resta in gola quando la sera fumi l’ultima sigaretta senza poi lavarti i denti.
Torna a casa Tina, vai a fermare la pale del lampadario ventilatore, che sei uscita in fretta e l’hai lasciato li a muovere l’aria stantia, togli la plastica dalla poltrona, strappa il parato a gigli coi denti, truccati gli occhi, compra un rossetto nuovo.
Si è vedova di qualcuno, non di qualcosa.
E Anselmo è una boa sfatta, le sue mani Tina, le sue mani senza più il vostro anello sono pance di piccoli pescecani lisce e bianche, senza macchie di nicotina tra indice e medio che tanto ti facevano schifo, i suoi baffi sono lisci, naviga senza bisogno del mare, è un tricheco grottesco che per fare l’amore o per scopare non si è mai tolto i calzini di spugna.
E tu Tina, guardati, seduta su quello scalino di marmo umido che ti fa rabbrividire,davanti a quel palazzo in cui, all’improvviso hai deciso di non entrare, hai rotto un sandalo, non sai come fare, lui dal citofono non dice niente, non scende a chiamarti, la voglia gli è svanita con la pioggia, sopita, sbavata, come il tuo trucco dopo che avete fatto l’amore e lui ti ha leccato le palpebre.
E’ bello così Tina, nessuno ti cerca, solo il mare, e tu ti avvii in discesa.