Nuove frontiere per la toponomastica femminile
di Pina Arena
Sotto il segno della sottocultura patriarcale le donne non sono ricordate e restano invisibili, nella lingua, nella cultura, nella storia e così pure nella toponomastica: è questo il punto di partenza delle battaglie di Toponomastica femminile. Ora un bel libro offre interessanti elementi di riflessione e apre nuovi orizzonti in questa direzione: l’ha scritto Angelo Campanella, giovane docente agrigentino, raffinato studioso di odomastica, autore versatile di racconti e saggi.
“Toponimi agrigentino-nisseni tra cartografia e tradizione di orale”, a dispetto della densità e della rigorosa acribia scientifica che lo guida, si legge piacevolmente, perché l’odomastica ristudiata da Angelo Campanella è un interessante intreccio di storia linguistica, sociale, politica, culturale, suggerisce molteplici ipotesi o chiavi interpretative intriganti e illuminanti su come eravamo e come siamo, uomini e donne, sui percorsi linguistico-toponomastici che riflettono il divenire della nostra storia.
Imprescindibile il punto di partenza e di arrivo: “… a creare i toponomini sono … coloro che li usano, per cui non possono che essere a immagine e somiglianza dei loro creatori. Concreta era la società nella quale e per la quale i toponimi rurali nacquero, concreta è di conseguenza anche la toponomastica rurale. La toponomastica urbana, più recente, astratta, riflette una società più evoluta”. Ed è proprio il recupero della toponomastica orale, non cartografata, il cuore del libro di Campanella.
L’impianto dell’opera è tipologico-linguistico e insieme storico e, come dice l’autore nell’introduzione, non potrebbe essere altrimenti, poiché i due indirizzi di studio s’intrecciano continuamente. Così ”da una parte l’analisi linguistica di un toponimo può portare alla luce una situazione storica non codificata… dall’altra, la conoscenza di un evento storico o di una situazione storica può rendere palese il significato, altrimenti inspiegabile, di un toponimo” .
L’autore si muove tra le province di Caltanissetta e di Agrigento, su otto cittadine – Bompensiere, Castrofilippo, Grotte, Montedoro, Racalmuto, Milena, Castrofilippo, Canicattì- con il rigore dello studioso e con la passione di chi ha vissuto e vive i luoghi che racconta. Ciascuno di essi presenta precise specificità culturali e storiche ma tutti sono “metafora” della Sicilia, e non solo: risiede anche in questo il valore dell’opera di Campanella. C’è la Sicilia patriarcale, con la sua storia di terra contadina, di masserie e massari, di contrade e quartieri segnati dalla vicinanza alle parrocchie, alle chiese di campagna, alle edicole votive. Questa Sicilia si riflette in una toponomastica pragmatica, depositaria di Storia/storie di grande interesse, spesso orale e pertanto, talora caduta nell’oblio poiché non cartografata; c’è poi “lo sviluppo” che si riflette nella toponomastica astratta che dà evidenza a fatti storici o a personaggi famosi o ad astratte denominazioni di ideali, piuttosto che a nomi di piante o a riferimenti ad antiche caratteristiche geomorfiche. L’autore ci conduce dalla prima alla seconda, individuando e interpretando linee di sviluppo e sottolineando la necessità scientifica di recupero della tradizione toponomastica orale.
Tra toponimi rurali e urbani, l’opera si presta a molteplici letture e si può leggere da diverse prospettive: ad esempio da quella di chi abita le stesse terre meridionali descritte da Campanella e ritrova una linea di indagine evidente dei segni della nostra cultura patriarcale, contadina, dello sviluppo e del sottosviluppo culturale dei nostri villaggi, piccoli e grandi, del centro della Sicilia. Si può leggere con lo sguardo dell’insegnante che educa le\i giovani alla consapevolezza, e attribuisce grande valore storico e simbolico alla toponomastica sia come campo aperto di indagine e lettura di come eravamo e di come siamo, uomini e donne, sia come concreto strumento di ricerca per avvicinare le/gli studenti alla conoscenza della propria storia e della Storia.
C’è poi un’altra prospettiva possibile, quella della Toponomastica femminile: e qui l’opera di Campanella offre, soprattutto nella toponomastica extraurbana non cartografata, molti spunti di riflessione, spesso aperti, impliciti, che possono costituire un nuovo campo di indagine e analisi per l’Autore stesso e per chi coltiva interesse e passione per la toponomastica in chiave di genere.
Alcuni esempi: fatte salve le sante e le madonne, le donne non ci sono neanche quando sembrano esserci.
E qui lo studioso dà indicazioni contro facili ed erronee interpretazioni. A Canicattì il toponomo Vecchia Dama non si riferisce a una vecchia signora ma a una nota famiglia del luogo: così la forma cartografata nascerebbe da una forzatura paretimologica della forma orale A li vecchi Addama, legata al cognome maschile dei possidenti menzionati. A Bompensiere il toponimo Marchesa Contrada nasce dal cognome del proprietario. Anche a Grotte e Racalmuto il maschile patriarcale è presente dove una lettura disattenta potrebbe far pensare a una presenza femminile: Matrona Casale indica non una Domina ma il cognome del proprietario. Interessante Donna Fara o Donna Fala a Racalmuto, dove Donna deriverebbe dall’arabo d+ayn “sorgente” reinterpretato paretimologicamente. Perfino Rocca zia Betta rimanda al nome del proprietario. Invisibilità femminile anche laddove le donne sembrerebbero visibili: a Grotte c’è la via Romita, dedicata a una donna, moglie di tal Romito da cui, secondo l’uso locale, prende il nome. Né si salvano le donne di lignaggio: così a Racalmuto il toponimo extraurbano Barona si riferisce alla proprietaria di una villa ancor oggi esistente ma non c’è memoria del suo nome.
Se poi si lasciamo le “innominate”, anche nei pochi casi in cui le donne vengono nominate, ritroviamo segni della sottocultura sessista: interessante il toponimo extraurbano Maria li Cani, dato ad una zona di Montedoro dall’esservi stata uccisa una certa Maria Cane nel 1779. A Canicattì, il toponimo denotativo Burdellu di Donna Carmela nomina la tenutaria della casa di tolleranza che dava il nome all’attuale via Risorgimento.
Nella prospettiva di genere, l’opera di Campanella offre altri spunti di grande interesse: è un caso che, a una lettura sinottica dei dati riferiti, in luoghi, come Bompensiere, con prevalenti toponimi denotativi piuttosto che astratti, quindi “a basso sviluppo”, si segnali l’assenza di toponimi femminili e che, al contrario, in luoghi, come Montedoro o Racalmuto, con prevalenti toponimi astratti, si segnalino diverse intitolazioni femminili?
Il campo d’indagine è aperto e certamente aprirà nuove strade alla ricerca toponomastica femminile. Anche per questo, oltreché per quanto ha raccolto, raccontato e ricostruito, ringraziamo Angelo Campanella .