E’ del diventare adulti la perdita dell’innocenza, della fede nell’umano cieca, senza crepe.
Le effimere e la fortezza
LA FILOSOFIA DEL CLOWN
Io conosco uomini e donne che quando torno a casa la sera mi sento di pesare centinaia di chili, tutti chili amari, di una umanità che mi va come un pugno nello stomaco.
E lo so che li conosciamo tutti: è del diventare adulti la perdita dell’innocenza, della fede nell’umano cieca, senza crepe.
Però debbo pure urlare che conosco anche uomini e donne che mi hanno cambiato gli occhi e la pesantezza.
Lo debbo dire che esiste un umano stupefacente, che mi spalanca la bocca come davanti al dolore.
E’ un umano che mi solleva, sterra e libera.
Creature originali da cui imparo la donna e l’adulto che voglio essere. Perché l’identità è un progetto e ci costruiamo osservando. Osservando e imitando.
Io, da cinque anni, ne frequento un po’, di questa specie originale.
Li trovo pure in un “campo scuola” che da 19 anni si chiama “Allegra… mente” e che afferra da tutta Italia persone leggere e bizzarre, stupefacenti e delicate.
Quest’anno il tema del campo era la clownerie. Ma una particolare: non quella delle tecniche. Era quella degli occhi. Guardarsi e guardare mentre cadiamo… e lì, proprio lì, non scappare ma restare. E sorridere alla caduta perché dice del nostro mistero.
Il maestro è stato Robert Mc Neer: ha subito detto che non aveva niente da dare. Che lui era un maestro solo nell’erranza. Un maestro sbagliato, docente dell’arte di sbagliare.
La gente non è andata via e non ha chiesto il rimborso.
E dire che tutti, tutti quelli di quell’umano inventario (capi del personale, veterinari, medici, insegnanti, ufficiali dell’esercito, sociologi, bibliotecari, filosofi) ce l’avevamo già questa competenza. Ogni umano ce l’ha. Solo che se la nasconde e la bracca stretta.
Quel che invece ha fatto lui è stato liberare e lasciar andare: prendere i fili attorcigliatissimi dei nostri pensieri e metterli al sole, come bucato.
Stesi.
Prendi i pensieri e falli respirare.
Io ho ancora molto da imparare per diventare, come lui, finalmente un pagliaccio, di quelli veri, che sanno vivere respirando, non col fiato sospeso in attesa di parole e risposte come chi non sa nuotare e con la punta degli alluci cerca disperatamente un appiglio da toccare. E stendendo i piedi si perde il mare.
Io ci sto provando a lasciar andare gli alluci. A essere vulnerabile e nobile. A prendere l’inadeguatezza ed a farne non vergogna ma canto. Ma sono un’allieva che ha bisogno di sostegno. Laurea e dottorato non mi sono nient’affatto utili. Anzi.
Sono un’allieva ritardata. In questa disciplina che è la più importante.
Che poi: chi è che ce la insegna?
Dove lo si incontra l’umano per cui vale la pena restare umani?
Io lo trovo, ogni torrido luglio, con loro: in un posto scalcagnato dove sei sterminato dalle zanzare e pestato dall’afa. Ma dove ogni volta vai via col pieno di bellezza.
Abbiamo tutti bisogno di dosi di innocenza.
No, non quella cieca: dico quella dei clown, dei vulnerabili contenti, quelli che hanno conosciuto il dolore eppure non ne hanno fatto il loro dio.
Ecco la materia che vale la pena studiare: l’innocenza dei caduti che poi anziché rallentare si mettono a correre.
Sicché oggi vorrei dire grazie a chi in quei giorni di torrido luglio ha avuto verso tutti e verso me raziocinio e fede, quell’anomalo connubio che ogni umano la sera cerca di computare.
Perchè a credere in Dio non ci vuole mica fatica! La parte più laboriosa è credere negli uomini.
(Ecco, questa volta questa rubrica vi ha raccontato di un prof.re universitario che è andato a fare un corso da clown. Queste cose poco serie e anormali accadono a Bari, grazie a un gruppo di insegnanti e a un dirigente scolastico che ostinatamente non s’arrendono al cospetto dell’amaro umano pesante. Si chiamano da 23 anni “Gruppo Educhiamoci alla Pace” e quando, dopo la loro bizzarra frequentazione, torno a casa la sera… io mi sento leggera. E fiera per l’aver qualcuno a cui impegnarmi d’ assomigliare.).