Riflessioni sulle contraddizioni linguistiche e sull’uso inaccurato della lingua in un articolo di giornale.
Per sfidare gli stereotipi di genere bisogna usare una lingua non sessista.
Nel 1984 la scrittrice americana Audre Lorde scrisse che non si può smantellare la casa del padrone usando i suoi (di lui) attrezzi . La metafora di Lorde si riferisce alla forte componente andro-centrica del linguaggio in cui ci esprimiamo, in una sociatà che definisce la donna come “altro”. Lorde denuncia l’impossibilità per le donne di usare quel linguaggio per definire se stesse, invitandole a riformare il linguaggio o a re-inventarlo. Il pensiero della poetessa e scrittrice americana, mutatis mutandis, si applica perfettamente anche al contesto dell’Italia contemporanea.
Un articoletto apparso ieri su La Repubbblica fornisce – suo malgrado – un esempio efficace dell’impatto negativo del sessismo linguistico sulla vita delle donne. Cominciamo dal titolo: “L’ingegnere scambiata per modella. Lei si sfoga: basta stereotipi.” Non serve neanche leggere l’articolo per capire che c’è più di un problema generato dagli stereotipi di genere, il primo dei quali è nel titolo dell’articolo stesso. Cosa avrà voluto dire l’ignoto autore/autrice: che un’ingegnera è stata scambiata per modella o un ingegnere è stato scambiato per modello? Sta parlando di una donna o di un uomo? o di un uomo (l’ingegnere) scambiato per una donna (la modella)? Dal verbo (“scambiata”, femminile) si deduce che anche “l’ingegnere”, pur essendo un termine maschile, ha un referente femminile, cioè, si riferisce in realtà a una donna.
Ma che senso ha denunciare gli stereotipi di genere se poi lo si fa usando espressioni impregnate di sessismo linguistico? Se l’obiettivo è denunciare uno squilibrio nella percezione dei due generi relativamente alla professione ingegneristica, nascondere le donne dietro termini maschili e chiamare la donna in questione “ingegnere” non è una scelta efficace, né credibile.
Più che la notizia in sé, mi sembra allarmante il modo in cui essa è stata divulgata. Mi riferisco solo al titolo, ma ricordiamoci che molti lettori di giornali on-line leggono solo i titoli e in base a quelli decidono se leggere anche il resto. Mi pare che chi per mestiere usa le parole dovrebbe mostrare più consapevolezza e almeno un pizzico di coerenza in più.
Il fatto che una donna giovane e di aspetto gradevole venga associata con più facilità al mestiere di modella che a quello di ingegnera, è sicuramente frutto degli stereotipi di genere. Per esempio, della assurda (ma diffusa) convinzione che ci siano professioni femminile e professioni maschili, le prime poco remunerate e legate alla cura degli altri o all’aspetto esteriore (modella, ma anche maestra, infermiera, ecc), le seconde in genere più prestigiose e meglio retribuite (avvocato), spesso ma non sempre legate all’ambito della tecnologia e dell’appliaczione scentifica (ingegnere, medico, chimico, fisico).
Il perdurare di questi stereotipi, va da sé, è alimentato anche da errori come quelli commessi dall’autrice/o autore del titolo dell’articolo. Infatti, usare la parola “ingegnere” per indicare una donna (in luogo del più corretto “ingegnera”), ribadisce l’idea che gli ingegneri siano maschi e che solo occasionalmente una fanciulla possa fare strada in un campo in cui rimarrà pur sempre un’eccezione, come segnala la ridicola combinazione di un nome maschile e un verbo al femminile (“l’ingegnere è stata scambiata”). Qualcuno direbbe o scriverebbe mai: “Il bidello è stata scambiata per una modella”? O anche “L’infermiere è stata scambiata per una modella?”, volendo dire che una signora di professione bidella o infermiera è così graziosa da poter passare facilmente per un’indossatrice? Credo di no. Anzi, la frase piuttosto invita a chiedersi: che aspetto avrà questo signore? Cosa c’è di insolito? Perché lo si scambia per una donna? Insomma, invita involontarriamente a mettere in questione il referente maschile. Invece nella frase incriminata, quella che si sente messa in questione è la donna, e la sua scelta professionale che, a dispetto della diretta interessata, viene segnalata come professione “da maschi” proprio grazie all’uso di quel maschile così poco appropriato.
Ricordate Nanni Moretti che profetizza: “Chi parla male, pensa male, e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: Le parole sono importanti”. Ricontestualizzando le sue parole, si può affermare che chi parla da sessista, pensa da sessista e vive da sessista rinforzando gli stereotipi di genere.
BIOGRAFIA
Aureliana DI Rollo ha conseguito il Dottorato di Ricerca alla Monash University di Melbourne (Australia). I suoi ambiti di interesse sono: studi di genere, linguistica e letteratura italiana contemporanea e libretti d’Opera. Prima di trasferirsi in Australia ha lavorato per 12 anni cme insegnante di lettere al Liceo Classico e come insegnante di italiano L2 al Liceo Internazionale di S.Germain-en-Laye (Francia), su nomina del Ministero degli Affari Esteri.
Dal 2010 insegna Italiano presso la Western Australia Academy of Performing Arts. Grazie alla collaborazione fra il Consolato d’Italia e la West Australian Opera, Aureliana ha organizzato e tenuto dei corsi di italiano basati sui libretti delle opere in scena durante le ultime stagioni. L’iniziativa ha riscosso grande successo.
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