Siamo ancora figli, fuori dal nucleo delle certezze, ci sentiamo appartenenti a qualcuno sempre , o dobbiamo sperimentare la solitudine per crescere?
Come ci avviciniamo alla certezza della nostra vita, se non con la certezza della madre?
Siamo figli e, crediamo in noi con la forza che ci genera dagli affetti ricevuti e dalla presenza delle persone che ci confermano e valorizzano la nostra esistenza.
Eppure, il Padre non appare, come forza interiore, sembra ridotto ad un simbolo, espropriato della tenerezza e semplicemente utile alla nostra sopravvivenza.
Un discorso confuso e arcaico, con tracce di maschilismo, anzi meglio dire anche “ sessismo”, va di moda!
Che stupida la nostra continua ricerca di parole per dare senso alle cose, ai gesti, in ultima analisi , che sostanziano i ruoli e le relazioni!
Infatti, prudente mi avvicino ad un testo per abbozzare un idea del padre che mi sembra idonea a definire in ultima analisi la vera fiducia della nostra esistenza verso Colui che ci ama e ci ha generato, senza apparire, senza essere protagonista.
Il vero volto di Colui che ci fa sentire il rispetto per noi stessi, perchè ci dirige il suo sguardo, senza il possesso di un vero ruolo. La fiducia di essere figli, e in ultima analisi, di sconfiggere la dipendenza generata dalla presenza di una persona alla quale dobbiamo sempre qualcosa: la madre che ci ha generati!
Interferisce con il nostro sviluppo, come un’ombra di noi stessi, ci lascia sentire il senso della mancanza di una parte di noi , che era Sua, in ultima analisi ci lega la passato di uno sviluppo necessario di eventi che ci riportano al presente.
Siamo figli di un Padre e di Lei, che amore e odio ci portano a seppellire ogni volta che desideriamo andare lontano.
Il senso della vita, è definito da questa corrente che ci porta lontano da noi stessi, intesi come legami del passato che ci è appartenuto, e dal DESIDERIO di essere artefici di quelle mete nascoste dai muri di una sicura realtà conosciuta. Come potremmo andare a conoscere il nuovo, senza una vera “VIS” in noi che ci spinge verso territori inesplorati?
Siamo ancora figli, fuori dal nucleo delle certezze, ci sentiamo appartenenti a qualcuno sempre , o dobbiamo sperimentare la solitudine per crescere? Troppi quesiti ci fanno sentire precari, il corpo allora ci aiuta a crescere e lentamente a gestire contatti e presenze estranee, dobbiamo allenarci ad accogliere il Nuovo, per dare un senso a noi, quello stesso che il Padre ci regala con lo sguardo fugace e risoluto di chi ci dà il permesso di fare la nostra vita.
Siamo completamente soli , eppure Lui ci guida con la forza di chi può dirci che lontano da quelle certezze si può desiderare e successivamente realizzare il sogno della nostra realtà? Unici e speciali , possiamo contare sul valore dello scopo che è in noi e ci sembra, alle volte smarrito dietro alle paure di morire a noi stessi nella negazione dei legami già conosciuti. Siamo in ultima analisi, padri e madri di noi stessi, e riconosciamo l’ autentica missione che ci è stata consegnata alla presenza di un’estraneo .
Lo spazio di un orizzonte sconosciuto ci fa trepidare e, allo stesso tempo ci regala la speranza di esistere.