IV CONVEGNO NAZIONALE DI TOPONOMASTICA FEMMINILE
18-19-20 SETTEMBRE 2015
LIBERA UNIVERSITA DI ALCATRAZ (PERUGIA)
Parole e corpi
“Woman is not born: she is made. In the making, her humanity is destroyed. She becomes symbol of this, symbol of that: mother of the earth, slut of the universe; but she never becomes herself because it is forbidden for her to do so.”
Andrea Dworkin
Debora Ricci
Docente di Lingua e Linguistica italiana presso il Dipartimento di Linguistica Generale e Romanza dell’Università di Lisbona (DLGR/UL), dottoranda in Studi di genere applicati alla sociolinguistica e ricercatrice in Women’s/Gender Studies presso la stessa Università e l’Università di Siviglia all’interno del gruppo Escritoras y escrituras.
Organizza e partecipa a convegni sulla didattica dell’italiano e sugli studi femminili, femministi e di genere. È autrice di articoli sull’insegnamento dell’italiano in Portogallo – in un’ottica di genere – e sullo sviluppo di una didattica non sessista della lingua italiana. Collabora con i gruppi femministi UMAR-Lisbona (União de Mulheres Alternativas e Respostas), e G&Ss – Gender and Sexuality sul tema della rappresentazione mediatica del corpo femminile.
Al IV Convegno di Toponomastica femminile (18-19-20 SETTEMBRE 2015
LIBERA UNIVERSITA DI ALCATRAZ – PG) inviterò a riflettere sull’ipotesi di Sapir-Whorf, secondo la quale la lingua influenza il pensiero e la nostra visione del mondo e di conseguenza l’uso sessista del sistema linguistico alimenta gli stereotipi culturali e determina le relazioni tra i sessi. Se noi siamo le parole che usiamo l’uso continuo di espressioni discriminanti, contribuiscono a perpetrare l’immagine della donna come oggetto sessualizzato e quindi legittimamente violabile.
Ce ne spiega il perché la filosofa Teresa de Lauretis già nel 1987 coniando l’espressione Technologies of Gender per indicare le continue rappresentazioni visive e discorsive del femminile che vengono poi interiorizzate dai soggetti (maschili per lo più ma non solo) entrando così a far parte del loro modo di pensare e di vedere l’altro.
La reiterazione è particolarmente evidente in tutte le manifestazioni mediatiche ma in special modo nel materiale pubblicitario tanto che l’immagine distorta fornita è diventata così comune che quasi non ci si fa più caso.
Abbiamo continuamente sotto gli occhi, nelle immagini pubblicitarie, corpi di bambine sessualizzati e corpi di donna strumentalizzati e oggettificati.
L’accanimento e le imposizioni sociali sulla costruzione di un’identità di genere che non esca dai canoni etero normativi cominciano fin dalla nascita e continuano poi all’interno di una società androcentrica ossessionata dal controllo del corpo femminile.
Nel 2006 il rapporto Donne e Media in Europa promosso dalla Comunità Europea, definiva «l’Italia un “paese in resistenza”, in cui la rappresentazione stereotipata è considerata un tratto antropologico così radicato che non si pensa possa essere contrastato con politiche “evolutive”» .
E intanto le donne continuano a essere invisibili o assenti da posti di prestigio e a essere rappresentate, là dove viene data loro visibilità, o come creature tentatrici, estremamente sessuate e poco intelligenti o come angeli del focolare, sempre sorridenti e felici. Sono spesso mute, quasi nude e svuotate di ogni dignità.
L’immagine pubblicitaria che ci presenta bambine lolite sessualizzate con ruoli ben definiti per il loro futuro o donne spesso non viste nella loro interezza ma smembrate come fossero bambole, risulta essere il veicolo ideale per la conservazione di certi stereotipi di tipo sessuale e per la formazione di un immaginario collettivo sempre più pericoloso e violento.