La gravidanza ritardata quando le madri sono ‘old’ è un fenomeno sociale
La chiamano ‘delayed childbearing’ alias gravidanza ritardata. È considerata un fenomeno sociale radicato nell’ambizione e nella precarietà professionale femminile che sposta sempre più avanti l’idea di mettere in cantiere una gravidanza. Questo rinvio è una tendenza diffusa che si presta a diverse letture.
Gli studi realizzati a tal proposito evidenziano che il progetto maternità ha le sue variabili: il lavoro, l’età, la malattia. Le donne che diventano madri dopo i 40 anni sono raddoppiate numericamente rispetto a dieci anni fa. Un grande merito va alla scienza e alle tecniche di fecondazione assistita che oggi rende possibile ciò che qualche anno fa non si poteva neppure immaginare. Anche la società è molto cambiata: per tantissime donne avere un figlio a 25 anni è assolutamente impensabile, dato che prima di finire gli studi e trovare un lavoro stabile devono passare parecchi anni. Perciò, le cosiddette ‘donne in carriera’ che rinviano la maternità – quando decidono – hanno un reddito più alto, un miglior grado di istruzione, una dieta più sana, migliori condizioni abitative. Ma sono più vecchie!
L’età è il peggior nemico della fertilità perchè più si va avanti negli anni meno possibilità si ha per realizzare la maternità. Poiché le cellule riproduttive femminili (ovociti) si esauriscono fisiologicamente già a partire dai 37 anni. Le donne sono convinte che con la fecondazione assistita si diventa madri con uno schiocco di dita. Non è così. Dopo i 40 anni le probabilità di gravidanza sono bassissime e subentrano problemi e complicanze ostetriche che viceversa non si registrano a 30, che gli studiosi hanno individuato come l’età migliore per affrontare una gravidanza.
Le ragioni sociali e antropologiche che hanno cambiato la natalità italiana nell’ultimo mezzo secolo sono diverse. La storia ci racconta di gravidanze in età molto avanzata di alcune ‘super-donne’ come la biblica Sara, moglie di Abramo, madre a 100 anni, o di Margaret Krasiowa che nel 17^ secolo avrebbe concepito e partorito due figli oltre i 90 anni. Leggende? Casi unici?
Andiamo a ritroso negli anni per capire come è cambiata la nostra società. Negli anni ’70 con il ‘baby boom’ si registrava poco più di 1milione di bambini nati ogni anno tant’è che in quegli anni si assisteva al fenomeno dei doppi turni nelle scuole elementari. Da lì in poi il numero dei nati è calato progressivamente fino a dimezzarsi alla fine degli anni ’90.
Le cause sono molteplici: la trasformazione della società occidentale da rurale in società industriale ha portato gli uomini ad emigrare verso il Nord e a lasciare la famiglia al Sud (soprattutto nel primo periodo) per le difficoltà legate alla logistica abitativa ed alla gestione della prole. L’aumento della scolarità della popolazione femminile ha consentito l’accesso ad una serie di professioni con possibilità di carriera. È soprattutto questo l’elemento che ha determinato lo spostamento in avanti dell’età del primo concepimento aiutato anche dall’aumento del costo della vita. Si aggiunge una serie di influenze dei mezzi di informazione su comportamenti (fumo, alcool), stili di vita (magrezza quale status symbol), malattie metaboliche (obesità) e sessualmente trasmesse che possono causare lesioni dell’apparato genitale e portare a sterilità. Ma anche inquinamento ambientale. Tutti motivi che non sono stati di grande aiuto al desiderio di riprodursi.
Insomma, le madri italiane sono sempre più ‘old’. Secondo l’Eurostat quelle che hanno avuto un figlio dopo i 40 sono cresciute del 5,3% in Italia e del 5,2 in Svizzera. L’età media è di 31,2 anni che è tra le più alte in Europa vicina solo a quelle di Irlanda e Spagna. Nel 2006, su 100 donne italiane che hanno iniziato un ciclo di fecondazione assistita, il 62,1% aveva più di 34 anni. Non è matematico che la pratica fecondativa si concluda favorevolmente sebbene molte donne si aspettano che le tecniche riproduttive siano in grado di rinverdire una funzionalità ovarica ormai invecchiata.
Negli ultimi anni sono passati messaggi fuorvianti sulle potenzialità della PMA praticata a tutte le età. È il caso – tra gli altri – di una settantenne donna indiana che dopo un trattamento di inseminazione artificiale ha dato alla luce la sua prima bambina raggiungendo un obiettivo di vita in una società come quella indiana che considera disdicevole non avere figli. Questa donna attempata non ha certo messo al primo posto il benessere della figlia che ahimè crescerà senza di lei che – a quell’età – ha una limitata prospettiva di vita. Di fronte a queste aspettative o alla non ben corretta informazione diventa fondamentale far conoscere alle coppie che esiste l’ovodonazione ed il congelamento degli ovociti. Se quest’ultima pratica è sostenuta dalla medicina per le donne che scoprono di avere il cancro, le quali animate dal desiderio di maternità – prima di sottoporsi alle terapie antitumorali (fortemente invasive) – depositano in una biobanca i propri gameti (in Italia ce ne sono due pubbliche a Bari e Bologna) per reimpiantarli quando le condizioni di salute lo consentono. Ci sono già bambini nati da questa pratica. Ha invece sorpreso la recente proposta di Apple e Facebook di inserire tra i benefit per le proprie dipendenti una somma da destinare al congelamento degli ovociti da scongelare in età avanzata.
Le giovanissime chiedono un seno nuovo per il loro diciottesimo compleanno, molte italiane chiedono per i loro 50 anni un figlio, spesso il primo, ma anche l’ultimo. Ciò dimostra che far arrivare la cicogna sempre più tardi è quasi diventata una moda e non solo per le vip ultraquarantenni che fiere esibiscono i loro pancioni sulle copertine patinate. Il fenomeno sembra coinvolgere un numero sempre più alto di italiane. Non a caso lo Stivale è uno dei paesi occidentali con il numero più alto di parti ‘over 40’. La conferma viene dai dati Istat sulla natalità: da oltre 12mila e 300 nati nel 1995 a circa 28mila nel 2006, solo l’11% dei nati ha una madre di età inferiore a 25 anni. L’età media delle madri residenti in Italia è oggi di 31 anni, circa un anno in più rispetto al dato del 1995.
È evidente che a 40 anni si ha un maggiore senso di responsabilità e la certezza di poter offrire al nascituro una vita migliore che oggi tra i 20 e i 30 anni non si può offrire. È altrettanto vero che il divario generazionale sproporzionato tra genitori e figli potrebbe portare a incomprensioni e addirittura a incomunicabilità tra due mondi differenti soprattutto se il delicato periodo dell’adolescenza coincide con il periodo non proprio sereno della menopausa. Come anche l’imbarazzo di fronte ai coetanei, di questi bambini che si troveranno a chiamare ‘mamma’ una donna che avrebbe l’età per essere la nonna. Questi sono aspetti sociali allo studio degli antropologi e lungi dall’idea di voler prendere posizione su una scelta così centrale e privata della vita di una coppia o di una donna, che va lasciata al sensato arbitrio di ciascuna.