Quando l’approccio da allenatore-coach diventa vincente
Parlando di adolescenza immediatamente il pensiero collettivo va alle difficoltà tipiche di quel periodo. Quelle dei giovani, che non si sentono capiti, che cercano autonomia ma si sentono soli; quelle dei loro genitori che li vedono allo sbando, che sentono la propria autorità misconosciuta e spesso si trovano a dire “non so più come fare!” Ed entrano nel dilemma: resistere (con la forza dell’autorità) o abdicare e lasciare che facciano i loro errori attendendo che ritornino in se’?
Fra i 12 ed i 20 anni (è sì, spesso l’adolescenza si prolunga anche fino a quest’età!) se i ragazzi ci sembra perdano la testa e fanno cose per noi inconcepibili, da pazzi, rischiando anche di farsi molto male, c’è un motivo fisiologico, oggettivo e già ampiamente dimostrato. E gli ormoni c’entrano ben poco. In quella fascia d’età infatti si verificano nel funzionamento del cervello cambiamenti sostanziali e sistematici. “Questi cambiamenti – ci ricorda nel suo nuovo libro lo psicologo dello sviluppo Steinberg – non implicano che il cervello degli adolescenti sia difettoso, ma che è ancora in fase di sviluppo. Volendo schematizzare, – continua Steinberg – dalla pubertà ai vent’anni si passa per l’attivazione del sistema limbico, che interessa l’integrazione emotiva, istintiva e comportamentale; quest’area coinvolge l’autocontrollo che gli adolescenti usano ma senza la giusta sensibilità per sfruttarlo a dovere, una lacuna che è anche una grande opportunità per plasmare al meglio gli adulti di domani.” In questo periodo si modifica anche la corteccia prefrontale che presenta un’accentuata flessibilità e ridefinizione delle connessioni tra i neuroni. Il conflitto tra le attività di sistema limbico e corteccia prefrontale fa emergere comportamenti che gli adulti reputano incomprensibili.
Bene, direte voi. Cosa ce ne facciamo di queste informazioni? Come ne veniamo fuori? E’ qui che l’approccio da coach-allenatore risulta vincente.
Innanzi tutto val la pena di ridefinire i nostri obiettivi di genitore. Riconnetterci al nostro ruolo di educatori, nel senso di coloro che aiutano ad apprendere, ad integrare le esperienze per trarne insegnamenti utili per vivere nel mondo.
In secondo luogo dobbiamo spostare il focus della nostra attenzione e guardare all’opportunità: è in questo periodo che si formano le convinzioni – e le relative connessioni neurologiche – che condizioneranno la percezione del mondo dei nostri ragazzi e che sono responsabili delle loro scelte comportamentali. La nostra responsabilità sta nell’aiutare i ragazzi a trovare le chiavi di lettura più adeguate affinchè possano arrivare a prendere – da soli! – decisioni più equilibrate.
Possiamo quindi essere i loro coach, i loro allenatori alla vita. E come tali non possiamo solo dare regole e punirli, non si farebbero più allenare da noi. E non possiamo solo stare a guardare, ci sentirebbero inutili.
Nella fase dell’adolescenza, quindi, noi disponiamo ancora della facoltà di renderci utili ai nostri ragazzi a patto che siano rispettate le condizioni basilari di ogni relazione di coaching: rispetto della loro individualità (tempi, spazi, decisioni…), cessione a loro della responsabilità delle proprie scelte, totale fiducia nelle loro capacità e risorse, riservatezza, disposizione all’ascolto ed onestà intellettuale.
E’ necessario far sentire che li sosteniamo, che crediamo in loro; dobbiamo sì sfidarli ma anche aiutarli a capire che i sogni non si realizzano se non ne facciamo degli obiettivi. E che gli obiettivi non si raggiungono magicamente ma un passo alla volta. E magari mettendo in piedi una strategia, trovando una tattica.