Ha scritto dieci storie per raccontare la città che non si può raccontare, perché bisognerebbe solo viverla.
Lui la vive e, nonostante le contraddizioni di lei, non smette di amarla. E, dopo articoli, inchieste e coraggiosi saggi, con Vedi Napoli e poi niente le dedica quasi una lettera d’amore.
Corrado Castiglione, giornalista professionista per “Il Mattino”, a cui collabora da oltre un quarto di secolo, della sua città ha letto e scritto per tutta la vita. Sulla carta stampata del ‘suo’ quotidiano, sul quale da bambino imparava a leggere e per cui oggi è cronista politico. E sulle pagine dei saggi che hanno per protagonista la sua città: Ferita a morte, lettera da Napoli ad un amico di Vigevano del 2008, Napoli Anno zero del 2009 e Il Casalese del 2011, di cui è stato coautore. Oggi, dopo un esordio nella narrativa digitale con il romanzo Transumanze, Castiglione torna a scrivere di Napoli. A partire da se stesso – nel libro non pochi sono gli elementi autobiografici – per arrivare a una Napoli in fondo inedita anche per molti dei suoi stessi abitanti. Alla cui scoperta ci conduce per mano, con garbo e leggerezza, facendoci attraversare la storia passata della città e il suo presente, le sue tradizioni e le sue superstizioni. Con un occhio particolarmente attento al mondo femminile (non a caso la dedica del volume è alle due donne della sua vita, la moglie e la figlia). E se il personaggio di Jovannella, la moglie di Pulcìn(ell)a, è solo una furba popolana che fa sua l’invenzione dei maccheroni per “la felicità degli uomini”, figure vere e commoventi sono Evelina, che convive con l’autismo del figlio Renato accettando in primo luogo le sue difficoltà di madre, e Maria, che affitta il suo ventre per rendere possibile la genitorialità altrui. Ne parliamo con l’autore.
Corrado, partiamo dal titolo, parafrasi del notissimo detto “vedi Napoli e poi muori” riportato da Goethe in Viaggio in Italia. Come mai Vedi Napoli e poi niente? Sembra quasi il riferimento a una bellezza così grande da lasciarci senza parole. Ma anche un grido di sconforto.
Trovi? Diciamo che la tua sensazione è vera a metà. Il proponimento era un altro quando con gli amici di GoWare ci siamo messi al lavoro, convinti che il titolo non esprima solo un tag utile al posizionamento del prodotto sul mercato ma rifletta anche lo spirito dell’opera. Abbiamo cercato un punto di equilibrio fra la bellezza indiscussa della metropoli e quella sua voglia/necessità di sentirsi una città normale. Hai presente quando una donna deve uscire di casa magari per un impegno di lavoro? Sta lì davanti allo specchio a misurare i capi che indosserà, a rifarsi il trucco, a scegliere con cura le scarpe. Ma non perché avverta il desiderio – come si dice a Napoli – di “comparire”, cioè di fare colpo su qualcuno, tutt’altro. No. Il suo unico scopo in quel momento è cercare una forma che la aiuti a sentirsi bene con se stessa. Una forma che magari le consenta anche di catturare l’attenzione, ma comunque che le garantisca di non apparire troppo… disponibile. Alla fine il risultato mi sembra soddisfacente: la prima parte del titolo lascia intravedere tutto e il contrario di tutto, l’altra riecheggia appena quella bellezza mozzafiato. Come un’assonanza evanescente. Come quando qualcuno ti usa una cortesia. E tu dici: grazie. E quello dice: niente. E tutto finisce così, senza troppa retorica, né ostentazione.
Il tuo libro appare, sin dall’ inizio, ricco di elementi autobiografici. E, in alcuni racconti, la narrazione si fa quasi documentario. Ma, in altri, sono protagonisti personaggi leggendari, come Cola Pesce, o tradizionali, come Pulcinella-Pulcìna. Per parlare di Napoli, meglio il registro del realismo o quello della metafora, della leggenda, del mito?
Se questa raccolta di racconti ha una forza, questa deriva proprio dal soggetto delle varie narrazioni. È un po’ come quando un pittore dipinge un tramonto: la molteplicità delle sfumature sta innanzitutto nel paesaggio prim’ancora che nel pennello dell’artista. Ecco, qui Napoli conserva intatta la sua monumentale straordinarietà. Di qui la scelta di utilizzare più registri. Se poi Vedi Napoli e poi niente sia un’opera all’altezza del soggetto narrato io questo non lo so dire: il lettore giudicherà.
Scrivi per il più noto quotidiano del Sud, e della tua città. E, da giornalista, hai una sensibilità particolare per i dettagli. C’è ancora qualcosa di Napoli che vorresti farci conoscere: una strada, un personaggio, una storia…? Quale sarebbe la tua undicesima storia?
L’undicesima storia è una di quelle che non si scrivono sui giornali. È un’utopia, che resterebbe nel solco tracciato in questa raccolta di racconti nella quale Napoli non è solo se stessa, ma è allo stesso tempo icona di tutte le città del mondo. L’utopia proverebbe ancora a raccontare il sogno che nasce dal cuore delle città invisibili, come scriveva Calvino, nella convinzione che città felici continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici. La titolerei: “La città cortese”. E sarebbe la narrazione di come Napoli s’incammini in un percorso rivoluzionario volto a restaurare la qualità delle relazioni tra i cittadini, puntando a realizzare nella polis qualcosa che vada al di là degli interessi individuali di ciascuno. Per il momento è solo un’idea. Prendila come un’anticipazione. Forse chissà, tra qualche mese, ci ritroveremo ancora io e te a parlarne, a e-book e volume stampato.
Nel 2011 il saggio Il Casalese, biografia non autorizzata di un noto politico, da te scritto con altri colleghi per le Edizioni Cento Autori, è stato coinvolto in una vicenda giudiziaria che, alla fine, ha dato ragione a voi autori e all’editore, riconoscendovi il diritto di cronaca. Cosa è cambiato per te dopo questo libro?
Il Casalese per me è stata un’esperienza bellissima. Mi ha consentito di lavorare con un editore bravo e coraggioso come Pietro Valente, e con molti colleghi come Massimiliano Amato, Arnaldo Capezzuto, Ciro Pellegrino, che già conoscevo e stimavo, ma con i quali non avevo esperienze comuni. Aggiungo: approdavo a questa pubblicazione dopo il libro-intervista Napoli, anno zero (Intra Moenia, 2009), un altro saggio nel quale già avevo avuto modo di mettere a fuoco alcune riflessioni relative alla selezione della classe dirigente di fronte alle complesse dinamiche del territorio. Per questo, sotto certi profili, ho trovato Il Casalese la naturale prosecuzione di quel ragionamento: un vantaggio non di poco conto, soprattutto alla luce della mia attività di cronista politico per “Il Mattino”. Dispiace, invece, constatare che a tanti anni di distanza a Napoli e in Campania i nodi della rappresentanza nelle istituzioni a livello locale non abbiano trovato l’auspicata soluzione: l’emergenza rifiuti è stata sublimata nell’espressione bella e rievocativa della Terra dei fuochi, ma l’inquinamento resta un problema grave, sia nei suoli, sia in mare; i partiti sono disorientati dal collasso del bipolarismo. E il rinnovamento della classe dirigente resta utopia.
In Vedi Napoli e poi niente, tra i tuoi personaggi più intensi ci sono alcune figure femminili. E nel recente Transumanze, sul tema dell’elaborazione del lutto, la protagonista è una giornalista italiana. Che rapporto hai con l’altra metà del cielo, nel privato e sul lavoro?
Premessa: il romanzo Transumanze è la narrazione di un abbandono. E la scelta di Elisa per protagonista è stata innanzitutto strumentale. Mi spiego meglio: mi interessava raccontare la storia di un abbandono al femminile, ma soprattutto ho trovato utile mettere al centro del romanzo una figura femminile. Prendo in prestito l’immagine dal mondo musicale: il pianoforte ha 88 tasti e un’estensione di 7 ottave, la chitarra ha 24 tasti e 4 ottave. Il vantaggio era evidente: ho scelto il pianoforte, ho scelto Elisa. Venendo dunque alla tua domanda: ho sempre riconosciuto alle donne capacità più vaste, rispetto agli uomini e a me stesso, nel percepire la realtà, decodificarla e affrontarla. Mammone come la maggioranza degli uomini meridionali, non ho trovato difficoltà a lasciare a mia madre e alle successive partner la leadership del rapporto. E così ho proseguito con uno schema che ritenevo collaudato. Poi nove anni fa è nata Fernanda e ora le cose sono più complicate.