Primo ottobre, primo giorno di scuola
Ricordo che era sempre freddo. Si portavano cappottini e mantelline per la pioggia. Le cartelle erano a mano ed io mi sentivo più elegante rispetto alle mie amiche che andavano in altre scuole.
Noi femmine della scuola di via Santa Maria, in un quartiere cresciuto in fretta con l’immigrazione dal Sud Italia, portavamo il grembiule bianco, come i dottori e una cravatta rosa che mi faceva sentire maschiaccia quanto bastava per non essere troppo remissiva.
I maschietti avevano il farfallino blu proprio quello che non si usa più. I bidelli fornivano a merenda le focaccine del panettiere vicino alla scuola. Erano tonde e morbide e lasciavano le mani piene di sale e olio.
L’odore del pane si mischiava con quello della Coccoina e del legno delle matite temperate. In ogni classe c’era un cestino e ci si alzava dal banco per andare a temperare senza chiedere il permesso come per andare al bagno.
Tra compagni si era in gara per chi faceva durare di più i pennarelli e funzionava il trucco dell’alcool. All’uscita nonni e papà con le Cinquecento aspettavano ai cancelli e spesso c’era la nebbia acre e densa da ovattare cose e rumori come la neve. “A nanna dopo il Carosello! ” – diceva la maestra ed era una, come la mamma. Per ricompensa a chi si comportava bene e rispondeva alle domande dell’ultima ora dava caramelline di zucchero colorate e così aspettavamo la campanella d’uscita: erano le prime dolcezze in attesa di Natale quando “i bambini piangono e a dormire non ci vogliono andare” cantava De Gregori.
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