La felicità può diventare per una donna una stella cadente
Alla libreria-caffetteria di Marsico è stata presentata l’intera gamma di opere scritte da Marta Mizzi. Ha dialogato con lei il prof. Nicola Cutino, mentre ha letto brani del romanzo e varie poesie da lei scritte l’attrice Floriana Uva.
Sono intervenuti in un acceso dibattito, fra gli altri, Cristiano Stefanì, Florisa Sciannamea e Luciano Anelli.
Marta Mizzi ha iniziato il cammino di poetessa e di scrittrice in età scolare, attratta dall’arte e dalla letteratura come bellezza gratificante gli occhi, la mente, l’animo. Nel corso degli anni si è aggiudicata vari premi, e dopo sette sillogi poetiche già editate, giunge alla pubblicazione di un romanzo che intriga e coinvolge il lettore, trascinandolo in una situazione da vivere in prima persona.
I suoi studi sono stati condotti nel percorso di laurea in economia e commercio, ma i veri amori della sua vita, la letteratura, la filosofia, e l’etica, hanno continuato ad essere discipline di studio costanti, come un “faro” che illumini la sua rotta. Praticamente da sempre poetessa, scrittrice e pittrice.
Nell’ultimo decennio ha pubblicato: “Diario di viaggio in viola” (ed. Libroitaliano World), premio Selezione Europa di Poesia nel 2005, bandito dal Corriere della sera, “Il Sacro e il Profano” (ed. Ismecalibri), premio Selezione Europa di Poesia nel 2010, Confini vol. II (Antologia di Poeti emergenti della letteratura italiana- ed. Ismecalibri), “Le ragioni dello Scorpione” (ed. Ismecalibri), “Lune dell’Angelo empio” (ed. Ismecalibri), “Stile Libero” (ed. Ismecalibri), “Anima diversa” (ed. Ismecalibri), per arrivare al romanzo “Nel profumo dell’iris viola” (ed. Nuova Palomar).
Dalla spensieratezza dei primi scritti, anche se velata da un rapporto austero, freddo e distaccato con i suoi genitori, figli di un epoca ricolma di pudore e rispettose gerarchie familiari, via via nell’animo di Marta si fa strada una rabbia incontenibile verso il genere maschile, tanto da distinguere nel suo pensiero gli Uomini dai Maschi violenti e prevaricatori della dignità femminile.
Nella sua ultima opera, il romanzo “Nel profumo dell’iris viola” viene offerta una sofferta lettura di una vita spensierata. Serenità e malinconia si miscelano alternandosi nel prevalere ma, sempre influenzati l’una dall’altra
Al momento poetico, pervaso da un sentimento irrequieto, segue una prospettiva incerta in cui un amore deluso, sofferto, dilatante, passionale, sfocia nella violenza. Un angoscia esistenziale tormentata dal tentativo di recuperare ogni motivo d’inquietudine ricucendo una storia privata ed assolutamente personale. Parole chiavi nel romanzo diventano “differenze”, “amore” e “libertà”.
Una visione sofferta della vita in cui la speranza è solo essa, attenua i riscontri con una realtà difficile basata piccole cose di ogni giorno.
La narrazione inizia con un sapiente “Flashback” e proseguendo con i ricordi di un’infanzia serena, seguono avvenimenti traumatici, compresa la violenza sessuale subita, che accompagneranno la protagonista nella sua vita. Si alternano colpi di scena ed immagini a volte cruente, che catturano l’attenzione e la curiosità del lettore, sino all’ultima riga.
Una delle tante specie di questo profumatissimo fiore, l’Iris, si riproduce con un bulbo che muore appena dopo la fioritura. E’ forse questa la metafora di Irene, protagonista di questa storia, tragicamente bella ma ripiombata nella sciagurata realtà.
Irene potrebbe chiamarsi Donna, perché la sua storia è un richiamo e canto di dolore per le discendenti di Eva, da sempre alla ricerca di un equilibrio ed un riconoscimento dignitoso che da sembra la società e la storia non vogliono loro riconoscere. La sua condanna è un’incessante ricerca d’amore che spesso si trasforma in sofferenze e umiliazioni.
Il femminicidio non sempre ha bisogno di coltelli per uccidere un’anima.
Nell’intelaiatura del romanzo il partner non ha le sembianze dell’uomo, come essere raziocinante, ma del maschio, in cui la mente viene soffocata dall’istinto e dai sensi, facendolo diventare un predatore della “femmina”.
All’uomo, o maschio che sia, rimane così il peso della solitudine, priva d’amore e fatta di nausea per la brutalità della carne soddisfatta.
L’uomo, nell’innato egoismo, ricerca la donna con cui non confrontarsi, forse completarsi, ma quasi certamente conformandola ai suoi desideri con pruriginose fantasie elaborate a volte con sadica perfidia. La donna a volte viene però vista come una creatura non rispondente alle pretese, che ritiene con subdole attenzioni di voler piegare alle sue esigenze, per cui il paventato “amore” si trasforma in “possesso”.
Marta Mizzi colora il suo romanzo anche con ironia feroce classificando gli uomini per prudenza da evitare: il tranquillo sposato, l’infelice divorziato, l’altrui marito, il traditore seriale, il lussurioso controverso, il subdolo paranoico, il libidinoso indeciso, l’uomo di mondo, l’efferato intellettuale, il protervo divo, l’orsacchiotto mancante di coccole, lo scollegato mentale, il consunto depravato,…..
Per l’esperienza acquisita è indispensabile vigilare per evitare l’uomo da cui doversi difendere: l’occasionale predatore, il curioso vicino, il lascivo parente.
La donna, violata il più delle volte per ingenuità o inganno, spesso soccombe per le non ricevute informazioni, per l’insoddisfatta curiosità, per i “giochini” tentati con scaltra perfidia dal depravato vicino o, peggio dall’incontinente e sadico congiunto.
Per la poetessa e scrittrice Marta Mizzi “la donna è un’ostrica che, violata dalla ferita inferta, subisce una sostanza estranea (non sempre desiderata) che avvolge per produrre una perla”.
La felicità, per molte delle donne violentate, è “una stella cadente che dura soltanto il tempo di esprimere un desiderio: che ci sia un’altra prossima volta da archiviare tra i ricordi più belli.”
Ovvero una eterna “fame di tenerezze”; che spesso porta ad una delusione ed angoscia del solo amaro ricordo del sopruso subito, dell’infanzia violata.