Appropriarsi di denaro, a volte, è un crimine. Uccidere una donna, dipende.
Negli ultimi giorni abbiamo appreso che, per alcuni importanti dirigenti della Giunta regionale lombarda, accusati dei reati di concussione e corruzione, sono scattate le ordinanze di custodia cautelare. Per il giudice per le indagini preliminari e il pubblico ministero, gli arrestati hanno dimostrato “una spiccata capacità criminale» e una «propensione alla violazione delle regole». Se risulta ad ognuno un’ ineccepibile violazione delle regole da parte dei tre concussori-corruttori, meno chiara è l’accusa di capacità criminale.
Per privare della libertà una persona non è sufficiente accertare gli elementi dell’accusa e la personalità dei rei. Per privare della libertà, fino a prova contraria, è necessario accertare la reiterazione del reato nel momento presente o il pericolo di fuga. Per giustificare il carcere, è necessario che il giudice faccia riferimento alla gravità del delitto compiuto e alle modalità della sua esecuzione. Nel caso degli indagati-arrestati milanesi, non appaiono modalità criminose pericolose immediate. Per arraffare, imbrogliare, riciclare, truffare e quant’altro si voglia, occorre del tempo. Forse sarebbero stati sufficienti altre misure restrittive; magari la sospensione dai pubblici uffici, gli arresti domiciliari. Non per ridurre le responsabilità e la gravità degli atti commessi. Per carità!
Solo perché si percepisce una differenza di trattamento e di attenzione enorme rispetto ad altri reati.
Nello specifico nel caso di crimini contro le donne. Appropriarsi di denaro, a volte, è un crimine. Uccidere una donna, dipende. Già perché per altri delitti gravi, come l’omicidio, violenza sessuale, lo sfruttamento di genere, vale invece una presunzione relativa per la quale il carcere non è previsto. Una cautela che protegge spesso l’uomo violento che potrebbe essere fermato prima che compia un delitto.
Omicidi, maltrattamenti e reati di genere che, il ministro dell’Interno ha descritto, in un recentissimo intervento, come in calo nel primo semestre di quest’anno. Peccato che il “Centro ricerche sulle politiche sociale” del Cnr, contesti quei dati asserendo che “il fenomeno non è ancora in controtendenza”. Secondo i dati del Viminale invece, gli omicidi di donne sono passati da 79 a 74 (meno 6,3%), e di questi, mentre quelli in “ambito familiare affettivo” (quindi che comprende anche uomini e minori) sono passati da 96 a 91 (meno 5,2%)”. Per quanto riguarda la violenza di genere (prendendo in considerazione solo le “vittime di sesso femminile”), gli atti persecutori che hanno visto le donne come vittime sono passati da 6532 nel primo semestre del 2014 a 5141 nei primi sei mesi di quest’anno (meno 21,3%), i maltrattamenti in famiglia “o verso fanciulli” da 6791 a 5677 (meno 16,4 per cento), le “percosse” da 7492 a 6986 (meno 6,7 per cento), le violenze sessuali da 2158 a 1760 (meno 18 per cento).
È calata, va detto, anche l’attività di contrasto a questo tipo particolare di fenomeno: gli ammonimento sono scesi da 742 a 709, gli allontanamenti da 149 a 144.” Non stupisce che il ministro senta il bisogno di dare dati ottimistici che valorizzino il suo operato. Infastidisce che lo abbia fatto solo in occasione della presentazione di un convegno dedicato, che coincidenza, alla presentazione della serie tv “Stalker”, in onda a fine mese su Premium Crime.
“Abbiamo avuto ottimi risultati dalla legge sul femminicidio – ha spiegato ancora Angelino Alfano – ha funzionato la prevenzione, con l’ammonimento e l’allontanamento da parte del questore”e, continua “Lo stalking è un reato da punire ma occorre anche prevenire e proteggere: sono questi i tre pilastri della nostra strategia”. Il ministro ha ribadito infine che “con la legge abbiamo fatto un buon lavoro ma come sempre è perfettibile e non escludo altri interventi. Credo che il Parlamento potrà fare ancora molto”.
Peccato che a smentire questa visione ottimistica, la bontà del suo operato, l’attenzione dei mezzi di comunicazione, compresa appunto la tv, siano stati immediatamente smentiti dall’omicidio, nella stessa giornata e concomitante al convegno, di una giovane ragazza di diciotto anni che aveva già, quanto inutilmente, denunciato l’uomo che l’ha poi uccisa. Per tutto ciò sembra macroscopica la misura cautelare contro i malfattori di Milano, rispetto al trattamento riservato all’emergenza contro potenziali assassini.
Perché non riservare loro misure cautelari restrittive, fino ad accertamento del reale pericolo denunciato? Perché, pur essendo a conoscenza dello stalking e del pericolo subito da una donna essi non vengono fermati? Perché attendere che le denunce arrivino al loro lugubre epilogo? Perché quella contro le donne, resta ancora lo zoccolo più duro della delinquenza da abbattere? Il mantenimento, il proliferamento, della violenza parte sì dall’educazione, dall’ambiente ma, in questi casi, anche dalla disattenzione, indifferenza, mancata protezione e sottovalutazione dello stato di emergenza che precede le violenze subite e ripetute, fino alla loro tragica conclusione.