Il sesso non è il genere. Un libro di Graziela Priulla sull’identità di genere
Per quanto possa sembrare anacronistico, è in corso una crociata che scatena una fobia collettiva con l’obiettivo di segnalare la pericolosità dell’educazione “al gender”. La scuola è diventata il bersaglio della propaganda di movimenti cattolici fondamentalisti collegati con gruppi dell’estrema destra. Sono gli stessi che si mobilitano per il Family Day e descrivono la famiglia come un fortino assediato da forse oscure e pericolose.
Giocano sulle ansie dei genitori usando un vocabolario evocativo che include costantemente “pornografia”, “masturbazione”, “cambio di sesso”, “pedofilia”. Sanno che per far presa il linguaggio anziché pacato dev’essere esagitato, anziché documentato dev’essere emozionale.
È nelle aule di Satana (sic) che, secondo i nuovi crociati, la potentissima lobby gay starebbe cercando di inculcare nelle menti delle giovani generazioni la temibile “ideologia gender” (o teoria gender, o dittatura gender), sterco del demonio. Tali espressioni hanno cominciato a diffondersi in modo virale nel campo mediatico e politico nel corso dell’ultimo triennio.
Nel momento in cui si interviene nelle scuole con progetti che mirano a promuovere il rispetto delle diversità, la propaganda dice che in questo modo si promuove lo “stile di vita gay” e si “omosessualizzano” gli e le studenti. Come se omosessuali si potesse diventare o scegliere di essere.
Nel momento in cui vengono posti a tema le culture e i linguaggi degli stereotipi e dei pregiudizi, si grida all’attacco alla famiglia. Come se la famiglia dovesse esser sostenuta dall’ignoranza e dalle fobie e non dall’educazione ai sentimenti e al rispetto.
Intorno a che cosa si coagula tanta ostilità? L’uso polemico dei termini ‘teoria’ e ‘ideologia’, con l’etichettamento che ne consegue, mira a destituire un intero campo di studi dalla sua legittimità e ad occultarne la storia.
Gender è la parola inglese per “genere”, inteso come genere sessuale. Da oltre trent’anni in tutto il mondo essa è associata non a un’ideologia, non a una teoria, ma al campo variegato e interdisciplinare dei Gender Studies, in Italia Studi di genere.
Gli studi di genere non intendono affermare che maschi e femmine non sono differenti, ma che il sesso non è il genere. Cioè il sesso è un dato con cui si viene al mondo ma il genere è il valore, il colore, il ruolo, il significato, il carattere, i limiti e le aspettative che io attribuisco al sesso. Non sono parole di un’eretica, ma della monaca benedettina e docente di teologia Benedetta Zorzi.
Questo vasto campo del sapere ha dato vita ad una costellazione di ricerche e strumenti concettuali in molti campi, dalla storia alla psicologia, all’economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali e a quelle letterarie e linguistiche; sono studi ormai diffusi nelle università di tutti i Paesi sviluppati (perfino in Tunisia) e hanno prodotto ricche bibliografie.
Per esempio nei dipartimenti di sociologia si controllano i differenziali retributivi, le opportunità di carriera, i carichi di lavoro degli uomini e delle donne. Le politologhe studiano la presenza femminile nelle assemblee elettive. Le letterate decostruiscono il luogo comune dell’assenza delle scrittrici dalla letteratura e recuperano nomi di autrici dimenticate. Le filosofe indicano la genesi delle norme sociali che indicavano nella donna un essere inferiore, incapace di doti di intelligenza e di responsabilità che andassero oltre la cura della famiglia e della casa. Le psicologhe si concentrano sul bullismo e sui comportamenti violenti nei confronti di tutte e di tutti coloro che non coincidono esattamente con l’immagine che ci fa dell’essere una ragazza o una donna o dell’essere un ragazzo o un uomo.
Le evidenze raggiunte mostrano il peso degli stereotipi nelle relazioni tra i generi, parlano della loro trasmissione attraverso l’educazione, il linguaggio, i mass media. Sostengono che la scuola è luogo essenziale per la formazione di identità e orientamenti che, senza negare le differenze genetiche e biologiche, le privino della carica di violenza e delle discriminazioni che hanno accompagnato storicamente le relazioni tra uomini e donne.
La maggior parte dei Paesi europei tiene conto di queste acquisizioni nel curriculum scolastico.
L’Italia è stata rimproverata dal Comitato di monitoraggio dell’ONU, che ha espresso preoccupazione per l’inadeguatezza degli sforzi compiuti per combattere gli stereotipi attraverso l’istruzione e ritiene essenziale che i libri di testo e i materiali formativi vengano esaminati e revisionati, con l’obiettivo di presentare il ruolo delle donne e degli uomini in maniera non stereotipata.
In molte e in molti stiamo lavorando per ovviare a queste lacune.
Per quanto mi riguarda ho scritto un manuale dal titolo “C’è differenza. Identità di genere e linguaggi” (ed. Franco Angeli) per cercare risposte a queste domande: come si definiscono, oltre ai dati genetici e biologici, i confini tra maschile e femminile? quali differenze si sono istituite nei diversi periodi della storia? quanta fatica sono costate le conquiste di civiltà di cui ora tutte e tutti godiamo? i ruoli di genere sono connotati e definiti una volta per tutte? chi e come ce li insegna? Perché resiste, nel terzo millennio, la doppia morale? come reagisce la società di fronte al fantasma inatteso della libertà femminile? come reagiscono le persone di fronte alle diversità? perché i mass media sviliscono a oggetto i corpi delle donne?
A me non paiono domande scandalose, non penso con questo di corrompere i giovani: cerco invece di aiutarli a crescere. Quando facciamo percorso critico sugli stereotipi di genere non stiamo attuando chissà quali stravolgimenti: stiamo solo rendendo percettibili le regole invisibili che condizionano ognuno di noi.
È questo che si teme?