Sebbene le donne cucinino ogni giorno per sè ed i propri cari,master chef (in TV) sono per la maggior parte uomini e ciò rivela il lato maschilista della cucina.
La spettatrice
di Daniela Astrea
Sono una grande appassionata di cucina. Compro libri, consulto blog stranieri e forum in cui confrontarmi sulle varie ricette ben prima che il cibo diventasse un argomento televisivo fin troppo presente.
Dopo i primi programmi Rai che avevano quasi il sapore di una sagra paesana, è stata Antonella Clerici con “La prova del cuoco”, nel 2000, a fare da apripista a tutta una serie di format, spesso importati da UK e Usa. Ricordo che proprio allora ci telefonarono per un sondaggio e chiesero a mia madre quale titolo le sembrasse più appropriato : scelse questo e bocciò “Mezzogiorno di cuoco” che pure finì con l’essere messo in onda, però sulle reti Mediaset.
Quindi fu per questo piccolo episodio che guardammo questa famosa prima puntata e che ancora, sporadicamente, lo seguiamo. La noia pare essersi impadronita del tutto e spesso sembra di vedere puntate in replica. Forse a furia di scoprire formaggi introvabili e produttori di miele ubicati sui picchi di montagne sconosciute si è esaurita la scorta di novità da proporre.
Ma voglio andare oltre e soffermarmi rapidamente sui vari Masterchef, Cucine da incubo et similia. Questi programmi sono le copie di idee inglesi e sono stati riprodotti da noi imitando anche i toni dei “giudici” originali. Non è un mistero che Gordon Ramsay si sia arricchito facendo di sé un marchio esportabile ovunque. Qui in Italia, abbiamo dato vita a nuovi personaggi che, dall’unto delle cucine stellate, sono finiti a badare al colore delle cravatte o alla lunghezza della barba. Obbligatorio è il trattare questi aspiranti chef amatoriali come pezze da piedi e urlare. Salvo poi decretarne uno vincitore , fargli pubblicare un libro in fretta e furia, metterlo nel dimenticatoio e iniziare le selezioni per la nuova stagione. Ammetto che il lato masochistico della cucina non l’avevo mai considerato.
Tuttavia ciò che mi ha colpito è, ancora una volta, il lato maschilista della cucina. Sì, perché, come appare chiarissimo ed evidente, se cucini a casa, sei al 99% donna, ma se guadagni e giri il mondo facendo spigole al cartoccio sei un uomo. E non esagero. Le chef di fama internazionale esistono, ma non reggono il confronto coi loro colleghi. E non si impongono nell’immaginario collettivo. Se sei donna, puoi andare bene sotto un’altra banalissima veste: quella dalla pasticciona/improvvisatrice. Quindi, ho passato in rassegna filmati e spezzoni di trasmissioni a tema culinario per avere una visuale ampia di quanto offre il panorama televisivo. Su quattro edizioni di Masterchef, ad esempio, hanno vinto tre maschi e una donna parecchio antipatica. Un vincitore pure nel programma La terra dei cuochi, fermatosi a una sola edizione. Due sole chef presenti attualmente in tutto il cast di Clerici, e nemmeno molto presenti.
Non mi convince la solita spiegazione trita e ritrita secondo cui il cuoco sarebbe un mestiere da maschi perché pesante, senza orari e pieno di responsabilità. Chi afferma ciò lo sa che ci sono donne che lavorano tranquillamente in miniera? No, è un altro il sottile messaggio: io credo che molto difficilmente una brigata di cucina la si vede comandata da una donna. È più forte di noi. Il termine capo, se pure seguito da cuoco, si fa fatica ad associarlo a un nome femminile e agiamo di conseguenza. Ed ecco cos’altro ho notato e appuntato: se non pretendi di definirti cuoca, ma ti presenti come blogger o appassionata, puoi fare l’opinionista. Se sei carina, tanto meglio. Finisci a fare da tappezzeria e apri la bocca solo se interrogata. Tanto non si fa affidamento sulle tue reali capacità di brasare la carne o preparare il sushi.
Riprendo quanto detto poco più su delle donne pasticcione o improvvisatrici. Ebbene, come è vista Benedetta Parodi? Cuoca non è. Giornalista, non più. Quindi va bene nei suoi programmi senza pretese, dove parla con un linguaggio poco tecnico a una platea di casalinghe (esistono ancora?) moderne, desiderose di stupire amiche e mariti. Da Cotto e mangiato ai Menù di Benedetta fino al recente Molto bene, non mi pare si punti sulle sue capacità. Lei trasmette un’idea di cucina frettolosa, raffazzonata, fatta con ingredienti poco scelti. Cerca una complicità tra sfigate del fornello che non mi fa sorridere, tutt’altro.
Una vera e propria oasi è rappresentata dai programmi sulla pasticceria. Qui, manco a dirlo, le donne ci sono. In questa specie di riserva indiana all’interno del complesso ambito dell’arte culinaria, è loro permesso fare i cupcake, le torte in pasta di zucchero, tanti fiocchi e svolazzi. Ma non sono tutte rose e fiori. L’altra sera ho guardato le battute finali de Il più grande pasticcere, su Rai 2. Già il titolo è al maschile e mi zittisco; i giudici sono tre esperti di pasticceria; i concorrenti rimasti sono quasi tutti maschi. La concorrente eliminata mentre guardavo è stata ridicolizzata, in linea con la durezza da caserma dei marines che vige in questi reality, ma poi, dulcis in fundo (e sono ironica), è stata salutata da un giudice con un “Ciao, bella” che mi ha fatto sobbalzare sulla poltrona. Non capisco perché ai maschi siano stati fatti incoraggiamenti di rito, somministrate pacche sulle spalle e a lei si sia mancato di rispetto così. Non lo tollero. Anche perché nelle interviste finali la pasticcera era in lacrime e si accusava di non essere stata professionale abbastanza.
E loro, lo sono stati?
Segnalo pure la presenza massiccia di donne su YouTube con moltissimi canali tematici, alcuni seguiti da centinaia di migliaia di fan se non milioni. La modalità delle video-lezioni mi piace, fosse solo perché implica una ricerca libera da parte dell’utente e permette uno scambio di commenti con chi ha postato le ricette. Cosa che non può avvenire in tv.
Possiamo proprio metterci il cuore in pace e smettere di sognare di avere una versione italiana della preparatissima Julia Child e nemmeno una della giornalista/imprenditrice Nigella Lawson. Ma una chicca l’ho trovata nel programma della casa di produzione Pesci Combattenti “Il pranzo di Mosè”, andato in onda lo scorso anno e reperibile on line. La scrittrice Simonetta Agnello Hornby ha narrato magnificamente i piatti della sua infanzia, i profumi della sua terra e l’ospitalità della sua famiglia, traendone poi un libro. Un esperimento davvero ben riuscito nella sua poeticità semplice eppure efficace, mi ha reso meno indigesto il connubio donne e cucina in televisione.