Omosessualità femminile: ancora tanto da fare.
C’è di buono che anche l’omosessualità femminile è ora oggetto di rappresentazione di professionisti del mondo del cinema importanti e con attrici conosciute e che la pubblicità che se ne fa è piuttosto massiccia; non si tratta più di film di nicchia, insomma. In Italia “Io e lei” di Maria Sole Tognazzi con Margherita Buy e Sabrina Ferilli; negli Stati Uniti “Freeheld” scritto dallo sceneggiatore di “Philadelphia” Peter Sollet con protagoniste Julianne Moore e Ellen Page, appena uscito nelle sale.
C’è di male che per quanto riguarda il secondo film dei due, che ho visto ieri, l’argomento dell’amore fra due donne, sottoposte purtroppo alla dura prova della malattia di una delle due, è affrontato in maniera piatta, poco coinvolgente e piuttosto banale. Molti film americani riescono a fondere mirabilmente una certa dose di retorica con una dose di capacità di emozionare che attiva sentimenti e riflessioni. Come fece “Philadelphia”, appunto. Ma in questo film tutto questo non c’è. Il tema di partenza è importante, rilevante, attuale.
Si tratta della parità di diritti che coppie dello stesso sesso dovrebbero avere rispetto alle altre. E direi anche parità di considerazione sociale: due donne che stanno insieme non sono a un altro livello (inferiore) rispetto a una coppia eterosessuale.
Ma ho l’impressione che il punto sia anche questo: l’omosessualità maschile, sia a livello di consapevolezza della sua esistenza da parte della società, sia a livello di oggetto di discussione, anche accesa, e di voglia e necessità dei gay di farsi vedere e sentire per rivendicare diritti è qualcosa di più presente, più di lungo corso, se così si può dire. Ma l’omosessualità femminile sembra essere una minoranza nella minoranza, poco indagata e poco sentita. Il problema di sentirsi, appunto, in una situazione di “sommersione”, questo bisogna dirlo, viene evidenziato, seppur in toni poco incisivi, nel film; infatti il personaggio interpretato da Julienne Moore, una poliziotta che quindi già fa un lavoro prevalentemente maschile, non vuole lasciar trapelare nulla della sua sessualità neanche al collega che conosce da 20 anni, perché già solo essendo donna deve lavorare di più per ottenere cose che gli uomini hanno già di diritto. Figuriamoci allora se si sapesse che è anche omosessuale.
Ma per il resto, paradossalmente, le figure più umane e mosse sono il collega di Laurel e l’attivista gay ebreo che vuole portare sotto i riflettori il caso delle due donne per smuovere governanti e opinione pubblica sui matrimoni omosessuali; e ha un suo perché il discorso della giovane Stacey, compagna di Laurel, che fuori da ogni retorica parla semplicemente dell’amore di due “persone comuni” che si amano, che litigano, che si confrontano, che hanno una casa e un cane. Come tante altre.
Comunque, anche a prescindere dalla riuscita di questo specifico film c’è ancora “da lavorare”, si può dire…certo, l’amore fra due donne è ben diverso da quello fra due uomini; ma ci sono tanti film, ormai, che rappresentano il secondo dei due in maniera efficace, bella, emozionante, commovente e anche divertente, briosa. Dov’è tutto questo per quanto riguarda le donne? Devono essere per forza riservate, appartate, prive di senso dell’umorismo e di vivacità? Non è così. C’è un film meraviglioso a dimostrarlo. Se vi interessa il tema guardate “Cloudburst – l’amore tra le nuvole”, un film pochissimo conosciuto (appunto…) ma in cui il cuore si apre e il sorriso si allarga.