Il 23 novembre del 1980 ci fu uno dei più terribili terremoti che l’Italia abbia conosciuto, circa 3000 morti, interi paesi distrutti.
L’ Irpinia era tra le regioni maggiormente colpite. Avevo compiuto 18 anni da pochi giorni. Mio padre dopo qualche giorno dal sisma arrivo’ a casa e mi disse – andiamo, prendi qualche bottiglia d’acqua, dei biscotti, un giaccone pesante e partiamo, servono volontari con autovetture in grado di trainare delle roulotte da condurre nelle zone del sisma e io sono un campeggiatore, ho l’auto con il gancio, vado laggiu’ e tu vieni con me – Partimmo in carovana, con altri per portare 50 roulotte: destinazione Santangelo dei Lombardi.
L’autostrada Roma-Napoli era stata chiusa e destinata ai soccorsi, era trascorsa quasi una settimana dal sisma e iniziava a fare freddo. Mio padre aveva riempito la sua auto di vestiario pesante, scarponi e altri indumenti raccolti tra i vicini di casa, non esistevano i cellulari, non avremmo dato notizie se non al ritorno. Arrivammo a Sant’angelo a notte fonda, in quel momento stava nevicando, uscendo dall’autostrada avevamo attraversano per chilometri le strade provinciali ed incontrato le prime macerie causate da terremoto, ma il paese si presentava in maniera spettrale sotto i fiocchi di neve e sotto le luci delle fotoelettriche.
Ai lati della strada ci colpirono le decine di bare accatastate. Io e mio padre ci chiedevamo se fossero vuote oppure no, quando ci dissero di fermarci in un parcheggio per andare insieme agli altri volontari dal sindaco a consegnare i documenti delle roulotte. Attraversammo a piedi il paese tra le macerie, sotto la neve tra la gente colpita dal sisma e tra i soccorritori. Erano trascorsi alcuni giorni, ma si continuava a scavare alacremente, come se il terremoto fosse appena accaduto. Io e mio padre ci fermammo a parlare con un uomo che aspettava che ritrovassero sua moglie e sua figlia dalle macerie andate distrutte: ripeteva ossessivamente che la sera del terremoto era uscito da casa solo per qualche minuto e che non avrebbe dovuto farlo. Ad un certo punto ci dissero di affrettarci, di consegnare i documenti e di attendere le istruzioni della protezione civile. Bisognava pensare a consegnare la roulotte al piu’ presto, lasciammo quell’uomo da solo per andare in una frazione di Sant’angelo dei Lombardi.
Ad aspettarci c’era una famiglia con dei bambini piccoli e la casa ridotta ad un cumulo di macerie, erano vivi per miracolo, erano sotto la neve e dormivano in una tenda di fortuna. Staccammo la roulotte dal gancio della macchina e mio padre consegno’ loro anche il carico di indumenti che aveva in macchina. Durante il viaggio di ritorno verso Roma pensai all’uomo che aveva perso la sua famiglia e a quello che avevamo aiutato a dare un riparo ai suoi bambini e imparai a comprendere la differenza tra le cose che possiamo cambiare in qualche modo e tra quelle che possiano soltanto accettare.