I vantaggi per le aziende ed i benefici per le mamme
di Ioia Rocco
Recentemente una mia cliente mi ha riportato che, durante un colloquio di selezione, si è sentita in dovere di avvertire il manager che la stava valutando che, avendo una bimba in età scolare, lei non sarebbe stata disponibile a fermarsi in ufficio oltre le otto ore previste dal contratto (salvo evidenti situazioni di reale necessità).
Con sua grande sorpresa, il manager che le faceva il colloquio si è rallegrato e le ha confermato che qualche “punto in più” a suo favore le derivava proprio dal fatto di essere mamma. Per la sua esperienza infatti, sono proprio le manager mamma che, spinte dalla necessità/volontà di avere del tempo per la famiglia, gestiscono meglio quello sul lavoro. Di fatto sono più produttive degli uomini. Un motivo in più per favorire la “conciliazione-famiglia-lavoro” che spesso è fra le politiche di welfeare aziendali.
Un manager illuminato? O solo un manager informato? Il disegno di Legge di Stabilità 2016, approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 ottobre 2015 ed ora all’esame del Senato, incoraggia il ricorso al welfare aziendale di cui fa parte, come detto, anche la conciliazione lavoro-vita privata.
Ma torniamo alla maternità ed a tutti i suoi veri o presunti vantaggi per le mamme e per le aziende. Sono stati pubblicati anche diversi libri sull’argomento, si veda, a d esempio, fra i più recenti “La maternità è un master”.
Sicuramente “la necessità aguzza l’ingegno” e, ormai è provato, la maternità ci obbliga a migliorare in tanti campi: gestione del tempo, organizzazione, sensibilità/empatia, capacità di delega, di ascolto e prevenzione, capacità di improvvisazione …
Ma è davvero così per tutte? E sin dall’inizio? E quanto dura questo “Master” ?
Sono indubbiamente una grande sostenitrice di questo punto di vista, se non altro perché riconosco nei miei tre figli i grandi allenatori di diverse mie competenze (soprattutto di pazienza!). Ma quanto sarei riuscita a tesaurizzare questo meraviglioso capitale se non avessi avuto anche altre conoscenze manageriali? E quanto ci costa questo Master?
Sto parlando di un costo emotivo ed economico. Per le mamme ma anche per le aziende ed infine per l’economia del territorio (es. previdenza e sanità).
Dal punto di vista emotivo ciò che prevale in noi mamme è spesso il senso di colpa nei confronti dei figli lasciati a casa soli o affidati ad altri, l’insicurezza nel riuscire a far percepire loro il nostro amore, il senso di inadeguatezza quando non riusciamo a bilanciare la dolcezza e la fermezza adatta a contenerli, educarli, la frustrazione del dover delegare le loro cure a chi probabilmente non farà come avremmo fatto noi, …
Ma possiamo aggiungere anche i disagi che derivano dalle mutate condizioni di lavoro: spesso ci sentiamo guardate con occhi pietosi da chi, visto che noi non possiamo più trascorrere il tempo di prima in ufficio, si prende tutto o in parte il nostro lavoro (lo riavremo mai?); altre volte siamo additate come quelle che sono stressate, o non più affidabili perché devono gestire gli imprevisti della maternità (es. figli che si ammalano)…; spesso arriviamo quindi a percepire insicura la nostra posizione lavorativa, sentiamo sgretolarsi la terra sotto i piedi ed il circolo “vizioso” aumenta.
Ed è allora quindi che ci troviamo spesso a dover fare scelte che vanno a toccare direttamente la sfera economica: da una riduzione dei tempi in ufficio (e rispettivo stipendio) fino alla totale rinuncia del lavoro.
Ma guardiamo anche alle influenze che la “nostra” maternità ha sull’ambiente di lavoro, sia nell’ambito più ristretto del team col quale collaboriamo sia a livello dell’intera azienda. Per molte mamme ogni maternità – soprattutto la prima – oltre che una grande gioia è spesso vissuta come una vera rivoluzione in famiglia. Cambiano i ritmi, le relazioni, le necessità. Non sempre siamo pronte e veloci nella reazione (come ci dipingono troppo facilmente alcuni). Questo fa sì che inaspettatamente si chieda di allungare il congedo di maternità previsto creando di conseguenza alcuni disagi organizzativi; un’altra ipotesi è la riduzione (oltre a quella già prevista per legge o policy aziendali) del tempo della collaborazione e ci si trova obbligati a pesare temporaneamente sui propri colleghi (che difficilmente ne gioiscono); in ultimo può divenire necessaria l’integrazione se non la sostituzione della neo mamma. Nuovi costi – reali e di tempo – per la selezione, l’integrazione/formazione della nuovo risorsa ecc. Tutti questi cambiamenti hanno inevitabilmente grandi ripercussioni sul clima, l’efficienza ed efficacia di tutto il team.
Per fortuna che già alcune aziende (ancora troppo poche invero) hanno avviato dei programmi di MomCoaching che sostengono e facilitano questo momento di delicata transizione sia la mamma sia il suo gruppo di lavoro e l’azienda.
Dal punto di vista delle politiche di CSR (Corporate Social Responsibility) avviare dei programmi di MomCoaching strutturati (non basta offrire un coach alla mamma!), in maniera indiretta può aiutare a favorire l’occupazione femminile, incentivare le nascite e ridurre le spese sanitarie collegate ad esempio allo stress; sostenere il cambiamento culturale (su questo mi soffermerei un’altra volta).
Ricordiamo, infine, che le azioni di welfare aziendale sono per il datore di lavoro un investimento per più motivi: permettono alle aziende di incrementare la produttività dei lavoratori e la fidelizzazione degli stessi all’impresa, incide direttamente sulle migliori performance della neo mamma, è fiscalmente vantaggioso e – come dice un HR Director in un recente articolo pubblicato su LinkeIn- porta infine un risparmio sul bilancio complessivo.