La tratta di esseri umani esce dai dibattiti giornalistici, dalle inchieste di polizia, dalle fredde stanze della statistica e diventa soggetto di un’opera lirica.
Accade a Guadalajara (Messico), dove – in occasione della Fiera internazionale del libro (www.fil.com.mx) – è stata rappresentata al teatro Diana (www.teatrodiana.com) l’opera da camera “Cuatro corridos”, frutto di una collaborazione tra la soprano statunitense Susan Narucki e lo scrittore messicano Jorge Volpi, autore del libretto.
Il corrido è una forma musicale tradizionale messicana che narra le gesta di un personaggio, eroico o negativo. Sotto forma di quattro monologhi, l’opera racconta la storia di donne implicate nel traffico di esseri umani tra il Messico e la California, precisamente a San Diego. Qui, nelle piantagioni di fragole, lavorano braccianti stagionali irregolari, in condizioni di sfruttamento. A questi reietti vengono offerte, come schiave sessuali, ragazze reclutate con l’inganno o rapite, quasi tutte provenienti dalla cittadina di Tenacingo (nello stato messicano di Tlaxcala).
“Mi sono ispirato a una vicenda reale”, dice Jorge Volpi. “Nel 2001 venne scoperta le rete criminale dei fratelli Salazar Juárez, su cui fece un’inchiesta il New York Times, che da anni sequestravano donne messicane e le obbligavano a prostituirsi”. I quattro monologhi in musica raccontano le storie di altrettante donne – storie inventate ma verosimili – e danno conto di diversi punti di vista. Una giovane rapita, Dalia, che sposa un membro della banda e si trasforma a sua volta in sfruttatrice; Rose, una poliziotta chicana (così vengono chiamati in modo dispregiativo gli statunitensi di origine messicana); due vittime (Azucena e Violeta), una delle quali tenta di scappare. Viene catturata e uccisa, ma il suo sacrificio permetterà alla polizia di risalire alla banda. “Tutti i racconti sono in prima persona”, dice Volpi, “eccetto quest’ultimo, dove la narratrice è una compagna della vittima, per sottolineare l’importanza della memoria e della testimonianza. Volevo che fosse un’altra donna a dare la voce a questa ragazza”. Tra tutti i personaggi il più interessante risulta Dalia, che usa il fatto di essere donna per guadagnare la fiducia delle famiglie del suo paese e farsi affidare le figlie. “Sente di fare qualcosa di profondamente sbagliato, che pure le ha permesso di sottrarsi alla violenza”, dice Susan Narucki. Non riesce però a farsi carico delle proprie azioni, di cui attribuisce ad altri la responsabilità, un po’ come Riccardo III di Shakespeare (“Andrò all’inferno per colpa di quelle ragazze”, dice). “Non dimentichiamo che vittime e carnefici sono esseri umani”, avvisa Narucki. “E quindi complessi, contraddittori, pieni di luci e ombre”.
Una storia di frontiera, un progetto di frontiera, risultato di una collaborazione transfrontaliera: le musiche sono state affidate due compositori statunitensi (Lei Liang e Arlene Sierra) e due messicani (Hilda Paredes e Herbert Vásquez). I musicisti sono Pablo Gómez alla chitarra, Aleck Karis al piano e Ayano Kataoka alle percussioni. Suonano senza direttore, usando gli strumenti in modo anticonvenzionale, per aumentare la gamma delle sonorità.
“Il progetto è internazionale perché internazionale è il problema della tratta”, spiega Volpi. “Non può essere liquidato come una questione di criminalità organizzata messicana, perché si combina con il tema dell’immigrazione irregolare e dello sfruttamento dei lavoratori clandestini”.
È un’opera che esce dagli schemi classici della lirica. Prima di tutto perché si tratta di musica contemporanea, sebbene con rimandi alla tradizione messicana. Poi per il tema legato alla cronaca e all’attualità. “L’opera contemporanea deve parlare della contemporaneità, non di miti del passato”, continua Volpi. “In questo senso si combina con la tradizione del romanzo messicano, molto legato a temi sociali”.
Già da molti anni si parla dell’anomala quantità di sequestri, stupri e uccisioni di ragazze a Ciudad Juarez, al confine con gli Usa, pratica per la quale è stata coniata la parola “femminicidio”. La cittadina di Tenancinango è invece nota per le organizzazioni criminali che sfruttano la prostituzione. Già in epoche preispaniche, per una misteriosa tradizione, era qui che le prigioniere delle tribù nemiche venivano vendute come schiave e selezionate per diventare prostitute. Ora sono le famiglie, che in modo più o meno inconsapevole, consegnano le ragazze ai trafficanti. E la musica, in quanto linguaggio universale, può raccontare al mondo una delle violazioni più atroci dei diritti umani.