LA RAPINA DEL SECOLO: SISTEMA PENSIONISTICO E LOTTERIA DELLA VITA
I giovani di oggi lavoreranno fino a 75 anni e prenderanno una pensione inferiore rispetto alle generazioni precedenti. In tanti rischiano di non avere nemmeno l’assegno, visto che vivono di contratti precari e avranno nella loro vita lavorativa periodi di “non lavoro”. Così Tito Boeri, Presidente dell’INPS, spiega ai giovani cosa li attende e lo spiega anche agli adulti e ai pensionati di oggi.
Una fotografia non rassicurante della situazione previdenziale dei giovani nati intorno al 1980 che dovranno far quadrare i bilanci familiari nel 2050, quando a settant’anni, potranno lasciare il lavoro e si accorgeranno che la pensione sarà meno del 60% del salario percepito.
Cornuti e mazziati, si direbbe senza troppe raffinatezze: oggi che sono giovani lo Stato non investe su di loro, quando saranno anziani non ci saranno abbastanza risorse per garantire loro una serena vecchiaia.
Ma esiste davvero un rischio di povertà per questa generazione quando sarà anziana?
I dati INPS ci dicono di sì, e il rapporto Ocse rincara la dose: non solo quando saranno anziani, ma anche oggi non sono messi bene se il 15% delle persone tra i 18 e 25 anni sono povere. Quando invecchieranno staranno peggio degli anziani di oggi: la pensione sarà inferiore del 25% rispetto a quella percepita da chi è nato nel 1945, andranno in pensione a 70 anni e, tenendo conto della vita media, l’assegno sarà percepito per molto meno tempo.
In sintesi: assegno più basso, più tardi e per meno tempo. La “rapina del secolo” alle spalle di una generazione che durante la propria vita lavorativa dovrà mantenere le pensioni a coloro che hanno avuto uno Stato generoso, grazie al sistema a ripartizione tutt’ora vigente.
I contributi previdenziali, nell’ordine del 33% di cui il 23,81% a carico dell’impresa e il 9,19% a carico del lavoratore non lasciano loro risorse da impiegare per investire in fondi pensionistici integrativi, e quando saranno anziani non solo non riscuoteranno quanto hanno versato ma molto meno. Il tutto nell’ipotesi felice che abbiano lavorato ininterrottamente quindi senza “buchi” nei versamenti previdenziali e il PIL sia cresciuto dell’1%. Realisticamente molti trentenni dovranno lavorare fino a 75 anni. Questi trentenni sono i nipoti di chi è potuto andare in pensione a cinquant’anni e i figli di chi, grazie alla riforma Fornero è andato o andrà in pensione a 65.
Praticamente ci troviamo di fronte ad una bomba ad orologeria!
Ma è corretto chiedere agli anziani di oggi un gesto di “solidarietà verso i giovani”? Io credo proprio di sì. Non solo è corretto, è anche etico: un dato sintetico lo può dimostrare. Circa vent’anni fa il gap tra la ricchezza media delle famiglie giovani ed anziane non quasi nullo, quella degli anziani era di poco inferiore a quella dei giovani. Oggi invece la ricchezza delle famiglie anziane è tre volte superiore a quella delle famiglie giovani.
Chiedere quindi agli anziani un contributo, è in primis una questione di giustizia sociale e contestualmente una questione etica di non poco conto, ma non può bastare. Le soluzioni per ridisegnare il sistema pensionistico devono quindi essere a largo raggio e “non convenzionali”:
Ridefinire la mission della previdenza pubblica: La situazione attuale rende necessario, urgente e indilazionabile l’apertura di un dibattito serio, in cui la politica si confronti con la società “civile” per discutere della mission della previdenza pubblica. A mio parere la previdenza pubblica deve proteggere dall’indigenza, per il “di più” ognuno può essere lasciato libero di scegliere le modalità migliori per realizzarlo. Questo comporterebbe la riduzione drastica degli oneri previdenziali e libererebbe risorse per investimenti integrativi. Ma perché rendere obbligatoria una assicurazione che protegga dall’indigenza? Semplice, per evitare che le “cicale” debbano poi essere mantenute dalle “formiche” in tarda età.
Superare il Sistema a ripartizione, che prevede che le pensioni attuali siano pagate da chi lavora oggi per inserire un sistema assicurativo puro: ognuno si paga la sua pensione. Questo perché il sistema pensato a ripartizione, funziona quando si ha una crescita costante mentre è fortemente inadeguato per i momenti di crisi e qualcuno si ritrova (come i giovani di oggi) con il cerino in mano.
Nel periodo di transizione tra un modello e l’altro le pensioni eccedenti il fondo accantonato dovrebbero essere pagate da un fondo “assistenziale” creato attraverso la fiscalità generale e da quanto recuperato riducendo gli assegni pensionistici.
Simmetria informativa per tutti gli attori in capo: ben vengano le proiezioni che permettono ai giovani di capire la vita che li attende da vecchi ma sarebbe auspicabile che anche i pensionati di oggi ricevessero l’estratto conto pensionistico in cui appaia chiaro quanto hanno versato e quanto stanno riscuotendo. Questo ridurrebbe l’impatto di quelle “retoriche” spesso utilizzate dai sindacalisti e dai politici e abbracciate con convinzione dai pensionati, che puntano sull’idea che gli assegni pensionistici siano il frutto di un credito” verso lo Stato.
Contributo di solidarietà inter-generazionale di valore crescente, da chiedere agli attuali pensionati, a tutti coloro che hanno un assegno pensionistico superiore a 2.000 euro mensile e che in questo momento stanno riscuotendo più di quanto hanno versato, in pratica stanno ricevendo una forma di assistenza.
Attivazione di uno strumento contro la povertà, pensando anche a chi perderà il lavoro sotto i 70 anni. Uno strumento che possa sostenere il reddito dei meno fortunati, chiedendo loro di svolgere lavori socialmente utili, formarsi, apprendere in modo continuativo durante tutto il corso della vita lavorativa. Individuare quindi un sistema in cui l’alternanza lavoro – disoccupazione possa essere sdrammatizzata, senza però sollecitare comportamenti “parassitari”.
Si dice spesso che non si possono toccare le pensioni perché chi percepisce un assegno pensionistico più o meno generoso, ha pianificato la propria vita tenendo conto dell’entità dell’assegno pensionistico che gli è stata riconosciuta. Al di là della solidarietà umana, inversamente proporzionale all’entità dell’assegno, pensiamo soprattutto a quei giovani che non possono nemmeno pianificare la propria vita perché non hanno lavoro e, se guardano al futuro non possono nemmeno dire “aspetto la pensione”.
Ma il problema non può essere solo un problema degli adulti che hanno vinto, chi più e chi meno la lotteria della vita, è innanzitutto un problema che i giovani si devono prendere in carico perché della loro vita si tratta. Una maggiore progettualità in termini di proposta, che non sia l’arroccamento su soluzioni del passato che ci hanno portato sin qui, è auspicabile. E’ vero che i pensionati sono i maggiori elettori, e questo li rende “intoccabili”, ma l’energia dei giovani può essere egualmente convincete. La politica e i politici hanno sempre dimostrato una particolare inclinazione a lasciarsi influenzare dalle minoranze urlanti più che dalle maggioranze silenti. Per i giovani è giunto il tempo di urlare per riappropriarsi del futuro che, in caso contrario, verrà loro scippato.
Daniela Bandera, sociologa, CEO di Nomesis – Intelligence for solution, società di consulenza e ricerche è Presidente Nazionale di EWMD – European Women’s Management Development
Ideatrice del modello di Smart Leadership e di Womesis Lab, laboratorio per le donne che vogliono crescere e per le organizzazioni che le vogliono valorizzare, è esperta di Diversity Management e di Gender Research.
Coordina e dirige il Marketing Learning Lab, una innovativa metodologia che ingloba consulenza, ricerca e formazione, messa a punto dal team Nomesis da lei guidato, sperimentata con successo in aziende di grandi e medie-grandi dimensioni su tutto il territorio nazionale.