LE OPERE DI 25 FOTOGRAFE IN MOSTRA A VENEZIA
Da Diane Arbus a Letizia Battaglia. La passione e il coraggio. Casa dei Tre Oci, fino al 10 gennaio.
Scappano. E a volte finiscono in un armadio. Donne che non stanno dove le si vorrebbe collocare e lasciano visibili tracce della loro fuga.
Letizia Battaglia, nello scatto dell’ennesimo morto ammazzato di Palermo, afferra salvezza e verità. Lucinda Devlin mostra ambienti la cui esistenza stessa mette in questione il senso della vita. Sophie Calle alla fotografia affida la sacralizzazione del suo divorzio, Tacita Dean si smarrisce in un viaggio privo di chiarezza, che pure approda alla meta e Yoko Ono trae alimento dalla verità di un’esperienza, in cui storia personale e storia del mondo s’intersecano.
Capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto (Margaret Bourke-White), lo sguardo “attento e penetrante, in cui è evidente il desiderio di spingersi verso territori di confine” vede ciò che c’è (Lisetta Carmi), conosce la magia del guardare al di là del Tempo (Martina Bacigalupo) e pone ben in vista ciò che difficilmente può essere compreso, accettato, digerito.
La fotografia è per queste artiste una necessità (Alessandra Sanguinetti), una ricerca di armonia fra immagine e parola (Shirin Neshat) o di analogie fra continenti (Chiara Samugheo). Il racconto delle persone e la testimonianza del loro dolore (Donna Ferrrato, Zanele Muholi) veicola messaggi sconcertanti (Catherine Opie)o pone domande scomode – Arte di chi, arte per chi… e che cosa è arte?- (Martha Rosler). A volte traccia miniature sorprendenti di una tenerezza fragile e sospesa (Donata Wenders)…
Francesca Alfano Miglietti, la curatrice, ha fatto un magnifico lavoro, selezionando, delle 25 autrici presentate, alcuni pezzi unici che rappresentano, singolarmente e tutti insieme,“uno sguardo sul mondo, a partire dal proprio senso di responsabilità”, “una coscienza del mondo” che sceglie di farsi “testimone anche di quello che spesso viene occultato” e fa emergere “i temi profondi dell’esistenza umana, la vita, la morte, l’amore, il corpo mettendo in luce differenze, conflitti, sofferenze, relazioni, paure, mutazioni.”
La ricerca e il bisogno di autenticità è la stella polare della fotografia di queste donne, non perché l’arte non possa prescinderne, ma perché in tale sforzo di presa diretta sul mondo “si percepisce la capacità di inventare e costruire storie a partire da un pensiero poetico, da un’idea di ciò che potrebbe accadere e spesso accade.” Come ha scritto Donna Haraway è attraverso il nostro sguardo che ci mettiamo in relazione con il mondo: non l’essere guardata – esperienza che appare fondante della femminilità oggettificata – ma il guardare che, come scelta e atto, ci rende soggetti e svela l’essenza dell’identità umana. Essere noi stesse è anche divenire consapevoli del nostro sguardo, coscienti della diversità di ciò che scegliamo di guardare.
Nelle prossime feste andate a vedere questa mostra. Dalla stazione di Venezia S. Lucia prendete la linea 2 per la Giudecca (ci credete che in vaporetto c’è chi va a fare la spesa?). Dalla fermata Zitelle alla Casa dei Tre Oci son due passi: potrete affacciarvi alla finestra e vedere il campanile di S. Marco, magari avvolto in una nebbia leggera. Venezia stessa sa di precarietà; l’acqua con il suo movimento saprà ricordarvi che avete un corpo (Francesca Alfano Miglietti).
Sentirete l’odore del legno degli armadi, con le mani sfiorerete la tela che ha scelto Marras per l’allestimento, raffinatamente teatrale, della mostra. Provenienti dal deposito della Fenice, vedrete costumi e abiti rovesciati a mostrare sfacciatamente la propria più gelosa intimità. Così una casa diventata museo e archivio grazie a Fondazione di Venezia, Polymnia e Civitas Tre Venezie, ridiventa una casa, pronta ad accogliere la nostra fragilità. Uscite, vedrete tutto, anche Venezia, con altri occhi.
Scritto nel pomeriggio dell’8 dicembre 2015,sorseggiando una densa tazza di cioccolata calda.
Potete prenotare la vostra visita qui.