Molte sono le storie vere legate agli ambiti museali, storie di furti, di trafugamenti, di sostituzioni, di impavidi curatori.
Le sale dei musei affascinano per i loro preziosi “ospiti” al punto da suscitare trame narrative rocambolesche. Lo dimostrano best seller come IL CODICE DA VINCI, film come TOPKAPI e OCEAN’S TWELVE fra i tanti. E siccome la realtà spesso è più avventurosa e incredibile della fiction, molte sono le storie vere legate agli ambiti museali, storie di furti, di trafugamenti, di sostituzioni, di impavidi curatori.
Di recente l’archeologo siriano Khaled al-Asaad ha trovato la morte mentre cercava di salvare il tempio di Palmira, iscritto nel patrimonio dell’Umanità e malgrado ciò, o proprio per questo, distrutto dalla furia iconoclasta dell’Isis.
Non meno eroico, ma più fortunato, durante la Seconda Guerra Mondiale, il direttore del Louvre Jacques Jaujard riuscì a portare in salvo in pochi giorni, con l’aiuto di studenti e custodi, oltre 3500 dipinti e statue, tra cui la Gioconda e la Nike di Samotracia, gli immensi Delacroix e i Rubens che, imballati e caricati su duecento veicoli, lasciarono il museo parigino verso località nascoste e protette.
Parigi era sotto scacco dei nazisti, che facevano man bassa di capolavori per foraggiare l’erigendo mausoleo di Linz in gloria di Hitler e per arricchire le collezioni private di gerarchi come Goering. Qui s’inserisce la figura di una collaboratrice volontaria dello Jeu de Paume, museo legato al Louvre. Si chiamava Rose Valland, apparteneva alla Resistenza e la sua azione di boicottaggio consisteva nell’annotare tutte le opere pronte per il trasporto e nel comunicarle al maquis. In seguito scrisse il romanzo Le front de l’art che ispirò il bel film di Frankenheimer IL TRENO. Grazie a lei nelle fasi finali della guerra le opere poterono essere rintracciate in Baviera, nel castello di Neuschwanstein, e in Austria, nella miniera di salgemma di Altaussee. I nazisti vi avevano ammassato ben 6500 quadri, statue, mobili, libri, monete, oggetti preziosi diversi.
Nel film THE MONUMENTS MEN (tratto dal libro omonimo) il personaggio di Claire Simone, interpretato da Cate Blanchett, rispecchia quello di Rose Valland che per quattro anni proseguì nella sua schedatura clandestina, prima di essere contattata nel 1944 dal tenente americano James Granger durante l’operazione di recupero dei capolavori.
Anche Milano ha la sua salvatrice delle opere d’arte: il nome è Fernanda Wittgens (Milano, 3 aprile 1903 – Milano, 12 luglio 1957), ricordata come prima donna direttrice della Pinacoteca di Brera dal 1941 al 1944.
Dopo aver insegnato Storia dell’arte nei licei milanesi, nel 1928 fu assunta con il ruolo di “operaia avventizia” presso la Pinacoteca di Brera, avendo all’attivo una laurea in Lettere e una successiva specializzazione in Storia dell’Arte. Era una mansione umilissima, ma la sua caparbietà, l’impegno e la bravura ne rivelarono presto il talento al direttore della Pinacoteca, Ettore Modigliani, che nel 1929-30 l’incaricò di organizzare una mostra di arte italiana a Londra, premiata da uno strepitoso successo.
La storia incalza: nel 1935 Ettore Modigliani è internato come antifascista all’Aquila. Nel 1941 Wittgens vince il concorso di direttora della Pinacoteca e si prodiga per sottrarre ai bombardamenti e alle depredazioni naziste il patrimonio artistico, ai suoi occhi «diventato la nostra stessa vita, carne della nostra carne in una lotta drammatica contro le offese aeree e la brutalità degli invasori». Antifascista, entra in contatto con Ferruccio Parri e aiuta numerosi ebrei a riparare in Svizzera.
Giudicata nemica del regime fascista, nel 1944 è condannata a quattro anni di carcere a San Vittore, da dove scrive alla madre lettere (raccolte da Giovanna Ginex su «Il Risorgimento», 1989, n° 4) che ne riflettono la fierezza di carattere: «Quando crolla una civiltà e l’uomo diventa una belva, chi ha il compito di difendere gli ideali? Sono i cosiddetti “intellettuali”. Sarebbe troppo bello essere “intellettuale” in tempi pacifici e diventare codardi quando c’è pericolo».
Grazie a Fernanda Wittgens, riesce a rifugiarsi oltralpe anche lo studioso Paolo D’Ancona, che per alcuni mesi insegna Storia dell’arte presso l’Università di Friburgo accanto a numerosi fuoriusciti italiani. Dante Isella, che all’epoca era un giovane studente, lo ricorda così:
«… ascoltavamo un’altra lezione di umanità, di straordinaria umanità, dopo quella di storia dell’arte: la lezione di questo ebreo che viveva modestamente, con grande aristocrazia, nei modi e nell’abito. Arrivavamo alla Chassotte […] e c’era la moglie di D’Ancona, Mary D’Ancona, bianca come un sepolcro, con un abito nero, sdraiata sul letto (e così visse tutto il tempo che rimase a Friburgo). Noi andavamo a salutare questa signora che rappresentava ai nostri occhi molto più di se stessa, rappresentava tutti quelli che sapevamo tormentati dal destino tragico di un’Europa in cui era l’odio che predominava».
Fortunatamente Fernanda, grazie a un falso certificato di malattia per tisi procurato dalla sua famiglia, torna in libertà dopo 7 mesi, ormai alla soglia della Liberazione. Aveva avuto come compagna di cella l’artista astratta Carla Badiali, arrestata dalla famigerata Koch nel settembre 1944 per aver collaborato con la Resistenza mettendo a frutto la sua abilità d’artista a invecchiare documenti e a falsificare le firme degli ufficiali tedeschi.
Nel dopoguerra Modigliani viene reintegrato nella sua carica e la Wittgens lo affianca nella ricostruzione di Brera, distrutta dai bombardamenti, fino alla morte di questi, sopravvenuta nel 1947.
Nel 1950 è nominata Sovrintendente alle Gallerie della Lombardia e in questa funzione si batte contro incomprensioni e mancanza di fondi, riuscendo nel 1950 a far riaprire la pinacoteca di Brera, oltre a occuparsi della ricostruzione del Museo teatrale alla Scala, dell’Ambrosiana, del Poldi Pezzoli, del restauro del Cenacolo di Leonardo.
Per incoraggiare il pubblico a visitare Brera, nel 1956 lancia una idea geniale che merita la prima pagina illustrata de «La Domenica del Corriere» del 3 maggio. L’iniziativa «Fiori a Brera» consiste nel riempire di piante floreali i saloni, a degno complemento dei capolavori esposti. Il famoso disegnatore Walter Molino immortala l’evento e ritrae, ultimo sulla destra, il volto di quella forza della natura che fu Fernanda Wittgens.
È grazie alla sua determinazione che nel 1952 il Comune di Milano acquista per 130 milioni la inestimabile realizzazione scultorea di Michelangelo nota come Pietà Rondanini, contesa da Roma, Firenze e Stati Uniti.
Per certi versi il suo personaggio ricorda quello di Palma Bucarelli, in prima linea per la difesa del patrimonio della GNAM (Galleria Nazionale di Arte Moderna), dapprima ricoverato nel palazzo Farnese di Caprarola, poi riportato a Castel Sant’Angelo in pieno clima bellico.
Donna descritta come altera e crudele verso la schiera dei suoi ammiratori, avvolge tuttavia con tenerezza i fragili Medardo Rosso in strati di bambagia e carta velina perché non soffrano il trasporto; si sottopone a viaggi rischiosi per controllare le sue creature. Impresa sublime, e non isolata, di pari passo con quella di Pasquale Rotondi, lo “Schindler del bello” che quando si accorge delle razzie naziste, mura i capolavori a lui affidati nella rocca di Sassocorvaro, confondendo le etichette sulle casse. E accanto a Fernanda Wittgens, rocciosa numero uno di Brera e antifascista militante, troviamo Noemi Gabrielli, che pone al riparo i tesori di Genova; Bruno Molajoli, tutore di secoli d’arte napoletana. Tutte persone che misero a repentaglio la propria vita non per obbligo “burocratico”, ma per dovere civile: conservare l’identità di un paese distrutto. Salvare l’arte era salvare l’Italia, mantenere la sua dignità, costruire un futuro memore del passato.
Il fervore artistico dell’epoca si respira anche grazie a Gianni Mattioli, il più importante mecenate di Depero, che con Fernanda Wittgens, sua cugina e coetanea, segue le manifestazioni della Galleria Il Milione negli anni Trenta. Li accomuna l’impegno umanitario e civile, la passione del bello, l’interesse per l’arte moderna italiana sia in patria sia all’estero.
Numerose sono le benemerenze di Fernanda Wittgens: nel 1949 è insignita della medaglia d’oro del Comune di Milano, nel 1954 della medaglia d’oro del Presidente della Repubblica; il 17 aprile 1955, durante la “giornata della riconoscenza” celebrata a Milano, l’Unione delle comunità Israelitiche le consegna la medaglia d’oro per il soccorso prestato agli ebrei perseguitati; nel 1956 riceve il titolo di Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica. Il 6 marzo 2014 le vengono dedicati un albero e un cippo nel Giardino dei Giusti di tutto il Mondo, a Milano.
Il migliore ritratto di Fernanda Wittgens si trova nelle parole che scrisse su di sé:
la mia vera natura è quella di una donna a cui il destino ha dato compiti da uomo, ma che li ha sempre assolti senza tradire l’affettività femminile