E se i server avessero un’anima e la parola?
di Ierina Dabalà
Quella sera si sentiva strano. Aveva lavorato tutto il giorno come uno schiavo, e sapeva che la
sera, la notte, non sarebbero state da meno.
Gli altri ogni tanto staccavano, sparivano per qualche ora, ma lui doveva restare vigile, giorno
e notte, senza mai un attimo di tregua.
Persino Marco, il più gran rompiscatole che gli fosse mai capitato di incontrare, sempre a
smanettare sulla tastiera, ogni tanto si alzava dalla sedia, si stiracchiava sbadigliando e se ne
andava a dormire, e anche quella isterica di Marinella, che entrava nella stanza ogni volta
inciampando sull’uscio e dettava ordini a destra e a manca, dopo essere passata come una
violenta raffica di vento, che sollevava fogli, ad un certo punto spegneva la luce e spariva, ma
lui no, lui doveva lavorare.
E se di giorno il tempo trascorreva abbastanza velocemente, fra l’andirivieni più disparato, la
notte lo coglieva uno struggimento sottile, una malinconia, una sensazione di solitudine che
spesso lo lasciava esausto.
Quella sera, poi, i ragazzi avevano festeggiato i suoi tre anni di attività mangiando tartine
salate e pasticcini, bevendo vino bianco e spumante, ed anche un certo liquore sicuramente ad
alta gradazione alcolica, poi erano usciti per andare in pizzeria, lasciandolo tutto solo con le
sue malinconie e lui aveva continuato il suo lavoro con un lieve ronfare.
La bottiglia di liquore era rimasta aperta proprio vicino a lui.
Non era stupido. Lavorava in continuazione, ma il suo cervello funzionava alla perfezione, ed
era attento e curioso a quanto gli succedeva intorno. Aveva notato come i ragazzi si
mettessero a ridere più forte, dopo aver bevuto da quella bottiglia. Forse era il fatto di bere
che dava euforia agli umani, oppure c’era davvero qualcosa di particolare che rendeva il
liquore capace di far ridere, e lui era così triste, così triste, che decise di assaggiare quel
liquido, anche se l’odore non era proprio piacevole.
Allungò con grande difficoltà un cavo e lo infilò nel collo della bottiglia, poi cominciò a
succhiare, solo un poco, giusto per sentire il sapore.
Che brivido! Il liquido bruciava e pizzicava scorrendo lungo cavi e cavetti; lo sentiva
scendere nel suo interno ed espandersi fra le schede e i cips, nella memoria, in ogni dove,
insomma; fu preso una sensazione inusuale, come di caldo, e quasi temeva un corto circuito,
poi l’alcool raggiunse il CPU e al server venne da starnutire.
Strano, davvero strano. Il cavo era ancora lì, ed il server decise di bere un’altra sorsatina di
liquore, e quel certo brivido che l’aveva percorso cominciò a dilatarglisi dentro. Incuriosito,
bevve ancora un po’ ed allora gli venne da ridere.
Oh, era un server serio, lui, non uno di quei robetti che ti piantano in asso ogni momento.
Ogni giorno e ogni notte faceva il suo dovere, collegando e scollegando i vari utenti, aprendo
e chiudendo Url d’ogni tipo, memorizzando le pagine lette, registrando dati.
Lui sapeva tutto, tutto. Non era un ometto capace solo di digitare sulla tastiera. Lui sapeva,
era onnipotente, Lui, lui aveva la vera Conoscenza!
Sorrise pensando alla presunzione degli umani, che lo trattavano come una macchina, mentre
lui era praticamente Tutto.
Bevve un altro sorso, e i circuiti presero a fremere, a vibrare. Si guardava dentro, era bravo a
guardarsi dentro, anzi lui era solo dentro. Al di fuori non era che una bianca scatola dotata di
alcune periferiche, ma al suo interno c’era il mondo intero. Non aveva bisogno di un analista
per comprendere cosa ci fosse al suo interno. Lui sapeva tutto.
Ih, ih, ih. Sghignazzava pensando a tutti i dati che erano racchiusi nella sua memoria PROM,
a tutti i segreti che gli umani gli avevano affidato, al grande potere che gli era concesso.
Non gli stavano simpatici gli umani, troppo supponenti, troppo boriosi. Marco, poi, che lo
smanettava senza pietà, che gli dava ordini, che persino lo insultava, oh, aveva giusto in
mente un bello scherzetto da fargli, e anche a quella presuntuosa di Marinella che non era mai
contenta del lavoro che lui faceva, come se la loro inettitudine fosse colpa sua.
Un sorsetto ancora ed i chips assunsero uno strano colore e lui li guardava con un ghigno
sinistro, un tantino perverso.
Frrrrrrrr… un ronfare leggero ed aprì la posta di Marco; sapeva che non doveva farlo, sapeva
anche che era protetta da una complicatissima password alfanumerica (sempre megalomane,
Marco), ma lui ricordava tutte le password, si, si, anche quelle più complicate.
Sbirciò la languida mail di quella fraschetta di chat e rispose.
“Mia cara Pablita, sono così dolci i momenti in cui parliamo, mi fanno sentire in pace col
mondo intero. Desidero tanto conoscerti, presto, perché non so più vivere senza di te. Ti lascio
il mio numero d’ufficio, chiamami appena mi leggi. Con amore, tuo Daigo”.
C’era posta anche per Marinella, tutta roba di lavoro. Serissima, quella donna, tutta casa e
ufficio, così scompose e ricompose le lettere della mail-list collegata al sito che lei gestiva… e
già pregustava la faccia degli utenti, alla mattina, al loro sobbalzare sulla sedia appena
ricevuta la posta.
– Oh, ma guarda un po’ – disse fra sé – s’è collegato l’esimio professore! Eccolo, come
il solito digitare l’Url dell’Univertità, e dopo un po’ andrà su quell’altro sito di storia.
Che noia, quest’uomo!
Il server girò e rigirò i dati immessi e… zacchete, ecco aprirsi davanti all’esterefatto
professore una veduta panoramica su intimi attributi anatomici di bionde fanciulle e negri
nerboruti.
Chissà se era a causa dell’effetto dell’alcool, oppure se fosse già stata una sua capacità di cui
era ancora ignaro, ma poteva vedere attraverso lo schermo la faccia pallida dell’uomo, il rado
ciuffo di capelli grigi sulla fronte, gli occhiali spessi almeno mezzo centimetro. Lo vide aprire
la bocca, poi richiuderla, poi affannarsi sulla tastiera per ridigitare l’Url, ed il perfido server
cambiò panoramica ed esibì nudità totali e amplessi di fuoco su splendide spiagge caraibiche,
mentre il son riempiva di ritmo lo studio del professore che si guardò intorno temendo l’arrivo
della moglie e s’affrettò a spegnere la cassa acustica.