La signora Domenica sbatte i panni sull’asse, le maniche arrotolate sopra il gomito a scoprire le braccia tonde e robuste, la treccia bionda che si solleva e ricade sulla schiena ad ogni colpo.
di Maria Grazia Nicolini
E’ giovane, quasi una ragazza, ma va chiamata signora Domenica, per volere della nonna. Il chiuso del cortile risuona di quel rumore ottuso e le pietre assorbono l’odore scivoloso. Anche il gatto Vercingetorige, detto Gige, si è fermato, la coda ritta, lo sguardo allertato.
Schizzi d’acqua saponosa attorno alla tinozza, lacrime che rotolano lungo le guance sode. La signora Domenica piange. E sbatte più forte le lenzuola sull’asse, le torce e le affonda nell’acqua schiumosa della tinozza. Le danza, sulla nuca bianca e sulle spalle, la grossa treccia, il sudore si allarga a chiazze sulla camicia azzurra, le lacrime sgorgano ininterrotte dai larghi occhi sbiaditi. Ogni tanto lei si passa una mano bianca di soda sul viso e sotto il naso. Poi, d’improvviso, comincia a imprecare contro il marito violento, nel chiuso dialetto delle valli. Quando torna ubriaco, la notte, e lei sta dormendo, le dice di voltarsi, perché vuole adoperarla.. Forse – mi chiedo – vorrebbe che si alzasse e gli preparasse da mangiare? Piange, singhiozza e continua a lavare la biancheria, la signora Domenica. << Diu, s’el ghè, g’avria de fal murì! >>, conclude sbattendo per l’ultima volta i panni ritorti, pronti per il risciacquo. Si rizza sulla schiena, asciuga le mani nella gonna e se le passa energicamente sul viso, tirando su col naso. Il mastello rovesciato nel canaletto della fogna, un catino di panni strizzati sulla testa, la signora Domenica se ne va, fiera, verso il lago, la grossa treccia che batte a ogni passo sulla schiena sudata.
Nella casa, la nonna si muove leggera, con passi furtivi di gatto. L’estate si allarga pesante sul lago, in lente foschie, ma il salotto della nonna è scuro e fresco.
La cucina, invece, è chiara, spalancata sul piccolo porto. La ragazza venuta dall’Ossola trita le verdure dell’orto con la mezzaluna, la nonna decora la crostata con giri di frutta. Il rosso delle ciliegie, il giallo aranciato delle albicocche, il verde delle pere affiorano dal pallore della crema pasticciera. La gelatina fa sembrare la frutta sotto vetro. << E’ bellissimo! Come hai fatto?>> La nonna ride: <<Non sai che sono una maga?>>. L’ho sempre pensato. Soprattutto quando scivolo dietro di lei nella stanza-dispensa gelidamente azzurra. Ci sono vasi di vetro grandi e piccoli. E, dentro, le magie della nonna: brillanti ortaggi sott’olio e sott’aceto, albicocche e pesche nel liquido sciroppo, marmellate di prugne e di fragole, gelatine di rose, ciliegie sotto spirito, miele dorato e denso, mammole e scorzette d’arancia candite. E poi erbe. Colte con la luna crescente e seccate al sole. Pronte per tisane e impiastri, che guariscono ogni male e danno sonni sereni e sogni colorati.
La sera esplode il temporale, con un vento che piega gli alberi, furioso, deciso a cancellare l’estate. La nonna accende Il camino e spegne la luce. Ad ogni scoppiettio del ciocco, le scintille scappano su, nella cappa nera, mentre la nonna racconta. Così serena e radiosa nel sole, le braccia sempre colme di fiori o di prodotti dell’orto, si trasforma, alla luce rossastra del fuoco. La voce si fa bassa e arcana, nel dipanarsi delle storie: orrende storie di streghe e di stregati. Sto aggrappata al mio sgabello, tra la meraviglia e la paura, accanto a una sconosciuta che appartiene, ora ne sono certa, al mondo dei sortilegi.
Poi la nonna dice: <<E’ ora di andare a letto>>. Accende la luce e torna ad essere la dolce vecchia signora, tutta vaporosi capelli bianchi e merletti, dal quieto rassicurante sorriso. Però io adesso so la sua vera natura! Mi prende per mano e mi conduce, lungo il corridoio, verso la camera.<<Nonna, – dico- se sai fare gli incantesimi, perché non fai morire il marito della signora Domenica?>>. Lei si ferma di colpo. Ha gli occhi così severi che vorrei sparire. Invece continuo, cocciuta, sfidando il gelo di quello sguardo. << E’ cattivo. La sveglia di notte per adoperarla. La signora Domenica piange e dice che Dio dovrebbe farlo morire. Ma forse Dio non ha tempo. Potresti pensarci tu, no?>>. La nonna riprende a camminare in silenzio tenendo stretta la mia mano. Il pigiama, le preghiere, il lenzuolo rimboccato, il bacio lieve sulla fronte. Rimango a lungo nel buio con gli occhi spalancati. Chiederò alla signora Domenica se il marito è morto per davvero, penso addormentandomi.
“La domenica da noi viene il lunedì”, diceva sempre la zia Irma, ridendo ogni volta per la boutade. Ma nessun lunedì vide più la signora Domenica, scivolata via, insieme alle sue lacrime, con l’acqua saponosa del ranno.