E’ una mattina come un’altra.
Un uomo disperato avanza con un cappello in mano verso una donna.
“Un piccione me l’ha fatta sul cappello”, voleva intendere cacare ma sa con quanta delicatezza rivolgersi ad una donna. La quale verifica subito essere una volgare macchia, una goccia sporca caduta dall’alto, forse. “Bisogna mandarlo subito in tintoria” continua l’altro. Perché un Borsalino bisogna trattarlo come merita, mica un cappello di quello che le donne portano ficcato in testa quando portano i figli a scuola la mattina presto, o a spasso i cani, o al mercato di corsa prima di andare in ufficio e se lo tolgono alla sera tardi e se lo rimettono il giorno dopo anche un po’ sporco e sciupato.
La donna osserva il silente cappello, che mostra appena una macchiolina sul bordo e riflette ad alta voce che proverà a toglierla. “Non me lo rovinare” dice l’altro, stavolta in tono imperioso e minaccioso, come vanno trattate le donne, prima di uscire.
La donna e il Borsalino si ritrovano da soli e si appartano. Poi quella prende il sapone di Marsiglia, che da sempre sa che non deve mancare a casa, lo scalda fra le dita e lo passa sul bordo, carezzandolo con delicatezza. La macchia pare sciogliersi e il Borsalino grato. E se rimanesse l’alone? La donna pensa che una rapida asciugatura sarebbe meglio e come procurarsela in una fredda mattina di febbraio?
I minuti corrono, deve andare a fare la spesa, lasciare pronta la tavola, andare a ritirare le ricette mediche, passare alla posta, in tintoria, uscire con il cane, sistemare i panni e tutte le altre cose che può fare visto che sta in permesso malattia e quel giorno è “libero”.
Un tempo breve per decidere e per agire. La mente della donna si mette in movimento; rielabora tutte gli input femminili che la testa le invia; rammenta tutti i consigli ricevuti dalle donne prima di lei e, grata alla memoria dell’esperienza, elabora una breve operazione intellettuale e matematica. Due più due fa quattro. Prende un phon, lo accende e scalda con cura l’alone sul cappello. Il Borsalino tornato nuovo. Il giorno si avvia alla fine.
Al suo rientro l’uomo saluta chiedendo ”Mi hai pulito il cappello? Non lo hai rovinato?”. Perché per lui sarebbe stato molto difficile concepire alcune semplici azioni. Osservare che i piccioni la fanno per lo più bianchiccia, che provare a pulire è un tentativo che chiunque può ardire di fare, che il sapone comunque pulisce, l’acqua elimina e il calore asciuga.
Una mattina che sancisce ancora una volta l’inferiorità o la superiorità femminile, un concetto opinabile e difficile da definire ed elaborare.
Perché l’atto del pulire lo sporco può essere inteso come indegno di spiriti alti, o viceversa degno solo di chi ha mente ed animo superiori. Perché la donna, che da sempre ha fatto la serva, la cameriera, la lavandaia, la colf, la madre ecc. deve necessariamente conoscere i misteri del servizio mentre gli alti spiriti, ingegni , non debbono perdere tempo in queste scienze inesatte e fuorvianti. La sporcizia si sa è femmina, basti pensare al mestruo, al parto, alla vagina ecc. e la cattiva cultura è dura a morire fra i maschi.
Speriamo che la prossima volta il piccione prenda meglio la mira e lasci quel che deve sulla testa, lasciando allo sporcato il compito di pulire e di pulirsi, come natura, non falsi stereotipi, insegna.