La natura delle cose e delle persone,il corpo come contenitore di sentimenti e significati, ma non solo, e la scelta, cioè il libero arbitrio, la possibilità di autodeterminazione.
Ho avuto modo di leggere tutto e il contrario di tutto su tre temi che hanno infiammato gli animi negli ultimi mesi: unioni civili, utero in affitto e prostituzione. Tre questioni diverse, ma che sono state ripetutamente sovrapposte facendo anche un po’ di confusione. Non posso dire di avere in testa chiarezza assoluta, ma certamente posso mettere in fila alcuni concetti e condividere una riflessione. Ho trovato molti articoli interessanti, che a prescindere dalla tesi sostenuta rappresentano un contributo serio al dibattito, mentre ho poco apprezzato gli slogan ideologici e i toni offensivi che talvolta si sono accompagnati ad affermazioni in nessun modo condivisibili. Gli argomenti di cui stiamo parlando sono complessi, hanno risvolti delicatissimi a tutti i livelli esistenziali e richiedono una onestà intellettuale e un rispetto per la persona umana che forse abbiamo dimenticato.
Non voglio allora partire da discorsi già fatti, ma da qualcosa di più semplice, le parole natura, corpo e scelta, tre universi semantici dentro ai quali ruotano mondi di idee anche molto distanti e vite vissute invece molto vicine. Il primo punto è questo: la distanza impressionante tra le idee che la gente esprime e la vita reale che invece vive. Mi chiedo, perché le persone quando parlano si dimenticano della realtà? Certamente ciascuno di noi ha dei valori di riferimento che condivide con altre persone, ma cosa ci rende tanto severi e accaniti quando ci confrontiamo con i valori degli altri? Diventiamo particolarmente aggressivi quando entrano in gioco la natura delle cose e delle persone, o meglio ciò che crediamo debba essere la natura, il corpo come contenitore di sentimenti e significati, ma non solo, e la scelta, cioè il libero arbitrio, la possibilità di autodeterminazione. Davanti a queste tre “entità” fondamentali siamo pronti a giocarci tutto, persino la credibilità, perché nessuno è perfetto e puntare il dito contro gli altri, pubblicamente, sortisce un pessimo effetto.
É l’effetto ambiguo e fastidioso della doppia morale, un male di cui la nostra società soffre diffusamente e che comprende tra i sintomi il facile giudizio, la scarsa capacità di autocritica, l’impulsività e il tentativo, sempre e comunque di salvare le apparenze. Quando si tratta di natura, corpo e scelta, dimentichiamo chi siamo e come viviamo, per andarci ad arroccare su posizioni indiscutibili e annodarci sulle linee di principio. E allora diciamocele un po’ di verità. La società che dice di difendere i valori della famiglia è la stessa che alimenta la tratta di donne e ragazzine dalla Nigeria e dall’est Europa per sfruttamento sessuale e da cui proviene la domanda di sesso a pagamento. La società che inveisce contro le coppie gay e nega pari diritti è la stessa che tradisce la moglie o il marito con persone dello stesso sesso. La società che grida: “contro natura!”, ha il primato per turismo sessuale nei paesi del Terzo Mondo. La doppia morale è anche quella che nega alle persone transessuali l’accesso al mercato del lavoro cosiddetto “normale”, ma accetta che si prostituiscano.
C’è una dimensione parallela nelle nostre città, il mondo nascosto della trasgressione, degli scambi di coppia, dei locali notturni. Tolleriamo tutto, basta che non si veda, che non venga turbato il nostro apparente equilibrio fatto di mistificazioni. Ho visto uomini e donne della politica salire sul pulpito e giudicare, a destra e a sinistra. Invito tutti a scendere, a dominare gli impulsi e a guardare dentro le proprie vite, per cominciare. Qui ci vuole temperanza, la virtù della moderazione, che la gente in politica dovrebbe possedere.
Tutti avremmo voluto la famiglia del Mulino Bianco, ma le famiglie vere sono un’altra cosa, sono complicate, piene di contraddizioni, e le storie finiscono, poi ci si innamora di nuovo e l’amore crea nuove situazioni, figli, traslochi… Cerchiamo di essere onesti, con noi stessi e con gli altri. Anche io volevo la famiglia del Mulino Bianco, ma la vita è più articolata di uno spot televisivo e credendoci si può fare parte di una famiglia allargata, variopinta, imperfetta, in cui possono esserci rispetto, amore e buoni progetti. Lo stesso. L’etichetta “tradizionale” non garantisce di per sé rettitudine morale, fedeltà o capacità genitoriali. Sono le persone che fanno la famiglia, non viceversa, e i modelli in cui questo può avvenire sono molteplici. Non è l’orientamento sessuale a fare di un uomo un buon padre o di una donna una buona compagna di vita. Questo lo dicono voci autorevoli, ma lo dice soprattutto la vita della gente.
Esistono diversi tipi di famiglia, il problema oggi sta nella decisione di dare pari dignità a queste molteplici forme. Ecco un altro nodo: situazioni di fatto da una parte e acquisizione di diritti e responsabilità dall’altra. Qui diventa un problema di volontà politica, di voto. Ma valutando, dobbiamo avere chiaro che la nascita biologica e l’identità di genere sono due cose diverse e possono non coincidere. L’identità di genere è un modello bipolare rigido, immutabile, non negoziabile, una costruzione sociale che poco ha a che fare con la natura. Cosa debba essere la normalità per ogni creatura etichettata con una M o una F, è frutto di un percorso culturale, in cui sono stati precedentemente sanciti i ruoli e preconfezionate le possibilità di azione, in quanto essere maschio e femmina. Così si impone come “naturale” qualcosa che in realtà nasce da una scelta, una scelta non casuale, ma legata al potere e al controllo delle risorse e delle opportunità. Conformarsi alle identità di genere è sempre stato per uomini e donne un percorso segnato, che ha favorito soprattutto la costruzione di stereotipi. Smontare gli stereotipi di genere, non significa, come molti temono, azzerare le differenze, ma al contrario valorizzare la polarità, nel rispetto dell’unicità di ciascuno, educare ai sentimenti e difendere il diritto di essere sé stessi dentro il proprio corpo. Questo significa anche che ogni persona può disporre del proprio corpo? Credo di si, entro certi limiti. Quando si parla della natura del corpo intendiamo degli aspetti che lo caratterizzano fisicamente, ma anche un insieme di simbologie e significati. Pensiamo al dibattito mai finito sull’eutanasia, che pure riguarda il corpo, la sua fine naturale e l’autodeterminazione individuale.
Il corpo delle donne è oggi al centro dell’attenzione, naturalmente fatto per ricevere e per procreare, può essere venduto, acquistato e usato come un contenitore vuoto. Abbiamo alle spalle una lunga storia del corpo femminile come oggetto sessuale e un infinito elenco di azioni violente che hanno leso la soggettività individuale delle donne. Quando il confine del corpo, che non è fatto solo di carne, ma è involucro dell’anima, viene oltrepassato con la forza, la manipolazione mentale o le minacce, si commette un crimine. La riduzione in schiavitù non è fatta solo di catene, ci sono modi sottili, crudeli, devastanti per sottomettere o rendere dipendente un’altra persona. Mi sono chiesta tante volte, occupandomi per anni delle vittime della tratta e delle prostitute, quale fosse lo spazio per la libera scelta. Quando una donna è veramente libera di disporre del proprio corpo? Quando può scegliere. E avere la libertà di scelta significa avere a disposizione più di una possibilità.
Spesso decidere di prostituirsi o di “prestare” il proprio utero per ragioni economiche non è esattamente una scelta, quando non ci sono alternative, non si può fare diversamente o non si hanno strumenti adeguati per compiere scelte di autotutela. Offrire il corpo in cambio di denaro può essere espressione di libertà?
L’esperienza mi insegna che ci sono donne che scelgono la prostituzione come lavoro, ne ho incontrate diverse e sono donne libere, dalla forte personalità, allegre e decise. Non sta a me giudicare la vita sessuale di un’altra donna, se lo fa per soldi, per divertimento, per noia, per convenienza non tocca a me dire se quello che fa è giusto o sbagliato, quando quello che avviene è tra adulti consenzienti. Nel caso della maternità surrogata però gli attori non sono solo gli adulti. C’è un bambino che nasce per il quale altri decidono e qui la questione si complica ulteriormente, ammetto che i miei sentimenti di madre e miei pregiudizi prendono il sopravvento.
Riesco a immaginare una sorella o un’ amica molto intima che può rendersi disponibile ad accogliere per la gravidanza la creatura di una coppia, ma faccio ancora molta fatica e ci ragiono da mesi, ad accettare che una madre, solitamente indigente, venga pagata per avere un bambino che poi le viene sottratto dopo il parto, per contratto. Sono consapevole che il mio essere madre e il ricordo della nascita dei miei figli mi pervade interamente e forse non riesco a essere lucida. Prestare l’utero è generosità soltanto quando è un atto gratuito. Se no è business. Se soltanto i ricchi possono permetterselo diventa un fatto di potere e di denaro, secondo la logica che tutto ha un prezzo. Quindi ci vogliono leggi chiare, che tutelino le madri e soprattutto i piccoli e anche la capacità di valutare singolarmente le situazioni, perché ogni storia è diversa. Il mio pensiero mette al centro i bambini, non ne faccio una questione di coppia omosessuale o etero, credo che il punto non sia lì, ma a livello etico e morale generale. Gandhi diceva che una delle vergogne del mondo è “la scienza senza umanità”, e penso che avesse ragione, ci vuole umanità nelle scelte, rispetto per le persone e assunzione di responsabilità. Non siamo onnipotenti, l’autodeterminazione è un valore soltanto se sa porsi dei limiti.