Un’0pera potente quella di Ibsen e due diverse interpretazioni.
Dopo otto anni di matrimonio avviene il primo vero dialogo nella coppia si svelano le ipocrisie e ognuno deve assumersi le sue responsabilità.
Sui nostri palcoscenici in questo periodo circolano almeno due edizioni del celebre testo di Henrik Ibsen del 1879, scritto in pochissimo tempo durante il soggiorno ad Amalfi. La prima versione è quella diretta da Andrée Ruth Shammah, storica collaboratrice di Franco Parenti, con l’interpre-tazione di Filippo Timi nei tre ruoli maschili e Marina Rocco nei panni di Nora. L’altra ha debuttato a Pistoia il 4 marzo scorso, per la regia di Roberto Valerio (che è anche fra gli interpreti); i due ruoli principali sono affidati a Valentina Sperlì e Danilo Nigrelli.
Qualche osservazione sulle scelte e sugli spettacoli. Filippo Timi -come si sa- ama il protagonismo e qui i tre personaggi gliene danno l’occasione, in cui gioca un ruolo importante comunque l’ironia, come quando più volte si allude all’assenza sulla scena di uno o dell’altro uomo, ovviamente, o si creano ritardi a causa dei cambi di abito. Marina Rocco appare molto a suo agio in questo difficile ruolo, con la sua grazia, i suoi cinguettii da uccellino, i suoi richiami da scoiattolino, quando è ancora una (apparentemente) fragile bambola vestita di rosa cipria. Nel finale sa trasformarsi – con un abito rosso dal taglio severo – in una coraggiosa donna alla ricerca di se stessa: prima di tutto Nora deve diventare un essere umano, poi potrà pensare al resto. Come può infatti convivere con un estraneo, a cui pure ha dato tre figli? Come può essere una buona mamma se è rimasta una eterna figlia? Come può vivere con un uomo da cui si aspettava una cosa meravigliosa, un gesto di vero amore e di generosità, e che invece si preoccupa solo dell’opinione della gente e del proprio prestigio? Lo spettacolo è senz’altro di qualità, grazie anche alla bella scena, con il centrale divano rosa su cui ama sedere o accoccolarsi Nora, in contrasto con la severa poltrona in pelle, riservata agli uomini che rappresentano bene tre diverse sfaccettature e ruoli sociali: il vile marito Torvald, l’innamorato e gentile dottor Rank, lo squallido Krogstad. Un allegro albero di Natale sfavillante di luci, una graziosa bambina che suona l’arpa, un accenno di tarantella non sono altro che il preludio di una tragica svolta nella vita della famigliola perfetta: i soldi, la firma falsa, le cambiali, tutta la fatica fatta da Nora per salvare le apparenze e nascondere i suoi sacrifici al marito emergono inesorabilmente, ma è un bene perché finalmente si svelano le ipocrisie e ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Dopo otto anni di matrimonio avviene il primo vero dialogo nella coppia: Torvald e Nora smettono di bamboleggiare e si affrontano faccia a faccia, fino alla decisione senza ritorno.
Come è risaputo, il fatto che una madre lasciasse il marito e i figli per fare la propria vita, all’epoca, suscitò non poco scandalo, anche se Ibsen si definiva un poeta e non un ideologo riformatore; si racconta che, dopo il debutto, i biglietti di invito per pranzi e ricevimenti fossero corredati dalla raccomandazione: “Si prega di non parlare di Nora” , proprio per evitare che le liete serate si trasformassero in accese discussioni. Si sa anche che l’attrice dell’edizione tedesca si rifiutò di recitare il ruolo di una “madre snaturata” finché il finale non fu cambiato a malincuore dallo stesso Ibsen.
Nella versione realizzata dall’Associazione Teatrale Pistoiese i tre ruoli maschili riprendono i loro rispettivi interpreti e Nora si destreggia come uno scoiattolo, su e giù per una scaletta di legno, apre e chiude cassetti, nasconde i pasticcini che Torvald le proibisce, trova e ripone libri e oggetti, affannata nel compiacere e tormentata dall’assillo della firma falsa. Una scena molto bella e una grande prova di attrice si ha quando Valentina-Nora, guidata dal marito come una marionetta, cerca di ricordare i movimenti della danza che dovrà poi eseguire mascherata da contadinella napoletana: accenna passi e poi cade, si solleva e di nuovo le gambe e le braccia cedono, è un pupazzo nelle mani di Torvald che, addirittura, dopo la festa sembra quasi violentarla sul divano. Anche in questa versione, la scena finale assume una valenza simbolica, ma la scelta di far rientrare Nora, senza più il cappotto e di nuovo con la parrucca, lascia un po’ perplessi; vuole forse alludere all’incertezza del futuro. Riuscirà Nora a vivere come desidera? Saprà gestire il cambiamento e diventare davvero una “persona”? In una società che può stritolare chi è fragile, dove famiglia, ipocrisia, successo, denaro sono valori fondanti, una giovane donna senza risorse riuscirà a non soccombere?
Nora è sicuramente un personaggio potente, che nonostante il tempo non è invecchiato e parla ancora alla nostra sensibilità con accenti modernissimi; da rileggere il testo, ma da considerare anche un altro capolavoro del norvegese Ibsen (tanto apprezzato da Pirandello): ”La donna del mare” in cui si ha una nobile figura di marito, talmente innamorato e generoso da lasciare libera la giovane moglie Ellida di fare la sua scelta: andarsene con l’uomo venuto dal passato o rimanere. A lui sta a cuore solo la sua felicità. Ed Ellida saprà scegliere.
Autrice: Laura Candiani – laureata in Lettere,ex insegnante-si occupa di studi storici, cinema,l etteratura,ambiente. Dal 2012 è socia e collaboratrice di “Toponomastica femminile” di cui è la referente per la provincia di Pistoia e per cui scrive articoli, biografie,reportage; partecipa a convegni, promuove iniziative e realizza pubblicazioni su tematiche “al femminile”( le balie della Valdinievole, le donne del Risorgimento, le intitolazioni). Collabora con varie commissioni Pari Opportunità ed è consigliera della sezione Storia e storie al femminile dell’Istituto Strorico Lucchese.