La Mafia non è una fiction: storia di una donna in gamba che ha saputo ribellarsi al racket.
Denunciare la Mafia è facile a dirsi, ma spesso non a farsi, sia che tu sia vittima di suprusi sia che si faccia parte di una famiglia mafiosa e se ne voglia uscire.
Vi raccontiamo adesso la storia di Valeria Grasso, palermitana che ha detto no alla mafia, coinvolgendo ma essendone supportata la sua famiglia, i suoi figli.
Una bella donna oltre i quaranta anni, con tre figli che al momento della sua denuncia erano piccoli ma che cresciuti, dopo anni di lontananza da casa perchè mandati in case protette, sono voluti tornare. E Valeria, li ha accontentati, vivendo una vita protetta, controllata a vista dalle guardie del corpo.
Valeria era una imprenditrice di Palermo che lavorava nel campo del fitness e gestiva due palestre, che ricadevano proprio nel territorio controllato dalla famiglia di San Lorenzo, prima dalla famiglia Madonia e poi da quella dei Lo Piccolo, nomi che a noi non dicono molto ma che nell’area delle due famiglia mafiose volevano dire tutto.
Ci racconti la tua storia?
E’ cominciata 14 anni fa quando i miei figli erano molto piccoli.
Tornata a Palermo da Catania dove vivevo decisi di prendere in affitto una palestra nel quartiere di San Lorenzo nel bel mezzo della Piana dei Colli, un tempo residenza di famiglie nobiliari di Palermo. I proprietari fanno parte della famiglia Madonia-Di Trapani, che non conoscevo ma erano molto importanti nell’area.
I problemi quando si sono cominciati a presentare?
Dopo aver preso possesso dei locali e dell’attrezzature della palestra cominciai a lavorare. Tutto procedette bene fino a quando cominciai ad avere dei piccoli problemi dovuti a lavoretti da fare nella palestra. Per le riparazioni, ecco che si fecero avanti gli angeli custodi, ossia coloro che mi avevano affittato la palestra e la famiglia dei Madonia, che guarda caso possedeva un appartamento proprio sopra la palestra e che mi propose di abitarlo.
Si dimostrarono disponibili tanto da sembrare veramente delle persone per bene. Andai ad abitare in quella casa sopra la palestra e la ristrutturai.
Di tanto in tanto la Palestra aveva bisogno di alcune riparazioni che la famiglia Madonia compiva, facendole pagare un occhio della testa fino al punto di perdere il conto.
Una sera di punto in bianco mi trovai nelle condizioni di lasciare nel più breve tempo possibile l’abitazione che i Madonia-Di Trapani mi avevano locato. La scusa era che doveva andare ad abitarci una figlia. Mi sobbarcai quindi delle spese per cambiare appartamento ed affittarne uno nuovo.
Diversi giorni dopo venni messa al corrente del fatto che la palestra era stata sequestrata e che da quel momento dovevo avere rapporti solo col tribunale per quanto riguardava il pagamento della locazione della palestra. E’ proprio da quello momento che cominciarono i guai seri per me, che oltre a pagare un affitto al curatore dello stato dovetti continuare a pagare una pigione alla famiglia mafiosa dei Madonia-Di Trapani. Mi avviavo quindi verso una catastrofe economica. Avvilita, decisi di vendere l’attività della palestra. Trovai un acquirente giovane e che mi dette un acconto sul prezzo pattuito. Nel frattempo i vecchi proprietari mi fecero sapere di comunicare all’acquirente che doveva continuare a versare anche lui la doppia pigione.
A questo punto non ci stetti più: non potevo scaricare sulle spalle di quel giovane un peso cosi enorme.
E allora cosa decidetti di fare?
Restituituii l’acconto ricevuto e mi recai dai carabinieri a denunciare il tutto. Vennero arrestati gli esattori materiali ed i mandanti che erano le famiglie Madonia-Di Trapani, che ebbero condanne per diverse decine di anni di galera.
E come spesso succede soprattutto in Sicilia il denunciante, l’imprenditore che decide di ribellarsi al racket, spenti i riflettori, ritorna ad essere solo?
Sì, ma non mi persi d’animo: scrissi a tutti, sono stata davanti alle telecamere per raccontare la mia storia, ho parlato con la commissione antimafia, ho contattato le varie associazioni antimafia che ci sono sul territorio le quali, passato il primo momento, mi hanno lasciato ancora più sola. Andai quindi a Roma ad incatenarmi davanti al parlamento, ottenendo di essere ricevuta dal ministro D’Urso.
Dopo essere stata accusata di smanie di protagonismo, di volere sfruttar la sua storia per fini commerciali, venni finalmente ammessa ad un piano di protezione come testimone di giustizia. Sono dovuta stare molto tempo in località protetta, io e i miei figli Dopo anni ho chiesto di tornare e mi hanno assegnato la guardia del corpo.
Valeria, ma come ce l’hai fatta..
La forza me l’hanno data i miei figli ed una forza che mi deriva probabilmente dal fatto di non riuscire a vedere un futuro per loro. Ero preoccupata per loro e per quello che avrebbero potuto vivere. E sono convinta di aver fatto bene.
Cosa ti manca?
Un passeggiata in bicicletta per esempio Cose normale che molti danno per scontate.
Ora cosa fai?
Lavoro in Regione. Sono rientrata sotto la legge Crocetta per la ricollocazione dei testimoni di Giustizia. faccio la dipendente..mi manca un po’ il mio lavoro imprenditoriale, sebbene una delle palestre la gestica mia figlia grande.
E gli altri figli cosa vogliono fare?
Il maschio il poliziotto, La piccolina ancora non so.
Sei stata brava, coraggiosa e brava..
Sono stata supportata dai figli che hanno supportato le mie scelte. Hanno imparato però a non cedere ai compromessi e a fidarsi della giustizia. E’ stata un’esperienza dura ma che li ha fortificati molto. Mi vogliono molto bene e mi ammirano. I genitori devono dare il buon esempio.