Sono giorni che me ne sto chiusa in casa. Mi mordo le labbra rimuginando su ciò che la mia vita è diventata. Da quando un mese fa un attacco di panico mi ha assalita improvvisamente, mi sento cambiata.
di Alessia Rocco
Me ne sto chiusa in casa ad aspettare che le giornate passino in una routine confortante che allontana la paura.
Resto in ascolto del mio corpo ed ogni minimo malessere mi attanaglia, mi serra il respiro, mi spezza le gambe. Spesso mi sembra che le forze mi abbandonino e che uno svenimento stia per cogliermi, senza preavviso. Allora, se sono seduta, mi alzo di scatto, come un soldato chiamato all’attenti e cerco di distrarmi, distogliendo lo sguardo ed i pensieri verso qualcos’altro che non sia la mia persona e tutte le sue paranoie.
Ringrazio Dio di poter lavorare a casa. Quando mi pare di sentirmi meglio mi butto a capofitto nelle mie traduzioni dall’arabo all’italiano e trovo sollievo nella concentrazione che esercito per decifrare frasi e periodi. Anche i libri si sono rivelati un ottimo palliativo alle mie angosce e quando sento arrivare l’ondata maligna dell’ansia, mi immergo nella lettura ed il solo fatto di sfiorare le pagine mi calma il tumulto di cavalli impazziti che sento nel petto.
Lo squillo del telefono mi desta dai pensieri pesanti di quest’altra giornata faticosa: “Emma ma che fine hai fatto? Sono quindici giorni che non ti fai vedere!” esordisce Carla, la mia migliore amica alla quale avevo promesso un giro forsennato alla fiera del libro che si è svolta in città dieci giorni fa.
«Ho avuto da fare» mento «sono imperdonabile, lo so, chiedo venia!» Nessuno sa che sono preda di un “mostro” implacabile. Nemmeno mia madre ne è al corrente, altrimenti si metterebbe in allarme.
«Non ci credo, secondo me finalmente stai vedendo qualcuno e non me lo vuoi dire. E dai, lo capirei!» incalza Carla e quasi avrei voglia di lasciarglielo credere. Forse così mi lascerebbe in pace ed eviterebbe di richiamare.
Però non ho il coraggio di mentire e rispondo che non è nulla di tutto quello che pensa lei ma che sono solo oberata di lavoro.
Carla si rassegna troppo facilmente e questo mi suona strano. Ma forse è impegnata anche lei e non ha tempo di insistere ancora.
Ci salutiamo promettendoci vagamente un altro appuntamento che non rispetteremo, per colpa mia. Sono diventata musona, taciturna, solitaria. La compagnia degli altri mi mette a disagio. Mi infastidisce dover dare spiegazioni. Mi sento nuda quando devo parlare di me stessa e preferisco trincerarmi dietro una cortina di menzogne o mezze verità che non fanno male a nessuno se non a me, forse, perché poi diventa difficile stare dietro a tutte le storie fasulle che invento.
So bene perché mi sento così. Aver scoperto Michele con un’altra donna nel nostro letto, in una maniera che avevo visto accadere solo al cinema, mi ha sconvolto la vita.
La fiducia che avevo nel prossimo si è sgretolata come un castello di sabbia ed il mondo mi è diventato ostile.
Il ricordo di quella mattina in cui sono uscita di casa per andare fuori città mi perseguita come un incubo ricorrente. Arrivata a metà strada, dopo quasi tre quarti d’ora di strada, ero dovuta tornare indietro perché avevo dimenticato il portafogli. Appena inserita la chiave nella toppa, mi aveva assalita un sentore di pericolo che mi aveva fatto drizzare le antenne. Dapprima un grande silenzio ovattato. Poi un risolino inequivocabile e rumore di baci sulla pelle che mi avevano raggelato il sangue.
«Forse è la televisione» avevo cercato di illudermi. Poi avvicinandomi alla camera da letto avevo intravisto una massa di riccioli scuri ed una spalla nuda di donna. Per un attimo ero rimasta impietrita ad osservare il mio uomo avvinghiato ad una sconosciuta, nello stesso identico modo in cui qualche ora addietro stava avvinghiato a me.
Un senso di nausea e di disgusto mi avevano stretto la bocca dello stomaco ed avevo cominciato a sudare freddo. Mi veniva da vomitare e facevo fatica trattenermi. Avrei voluto scappare ma le gambe erano diventate due colonne di marmo piantate a terra e l’unica cosa che potevo fare era mostrarmi ed interrompere quello schifoso idillio. Michele mi aveva guardato con occhi di ghiaccio quando mi ero presentata sulla soglia della camera da letto. Il suo sguardo di commiserazione mi diceva che ero stata una sciocca a credere che fossi l’unica donna della sua vita. Non gli avevo mai visto un’espressione tanto dura e crudele e credo che questo mi abbia ferita ancora di più che il tradimento in se stesso.
Mai avevo avuto motivi per dubitare di lui.
Sono passati undici mesi eppure ancora mi sento la pelle bruciare se ripenso a quel maledettissimo giorno. Tutto ad un tratto ho dovuto riprendere in mano la mia vita e ricominciare da sola, senza Michele, senza i nostri progetti di vita in comune, il desiderio di comprare casa e chissà, magari fare anche un figlio.
Tutto è andato in malora nello spazio di un’ora anche se, mi ripeto spesso in tono consolatorio, forse è stato meglio così.
Se non fossi tornata a casa quella mattina, ora vivrei un’esistenza diversa, inconsapevole del male tramato alle mie spalle.
«Per lo meno così ti sei resa conto di che razza di uomo avevi accanto. Vedrai che troverai chi ti merita!» mi dice mia madre quando viene a trovarmi e verifica che sono ancora sola.
Il campanello mi fa sobbalzare.
Chi sarà mai mi chiedo mentre vado ad aprire e lo specchio nel corridoio mi rimanda l’immagine di una donna sciatta e scarmigliata.
«Sono Carla, avanti apri!». Il tono è perentorio e non posso esimermi certo dal farla entrare. Lo sapevo che no poteva darsi per vinta.
Carla entra con una busta fumante e profumata di vaniglia. “Vedo che siamo sciupate e pallide. Quindi, per prima cosa, ti mangi tutti e due questi cornetti. Poi ti vesti e andiamo dal parrucchiere. Poi si vedrà. E non accetterò nessuna ignobile scusa” esclama tra il serio ed il faceto.
«Sto bene Carla, sono solo stanca perché sto tutto il giorno con gli occhi incollati al pc e devo finire delle traduzioni entro la settimana prossima!» rispondo cercando di essere il più convincente possibile ma non ci riesco. Con Carla la battaglia è persa. Carla è la paladina delle amiche, quella che non ti abbandonerebbe mai, neanche se glielo chiedessi per favore!
Trangugio i due cornetti alla crema mentre lei prepara il caffè.
«Basta pensare a Michele! Lo so che stai male, fingi di averla superata ma non è così, a me non la dai a bere! Lui ti ha fatta soffrire, d’accordo, è un gran bastardo ma è ora di voltare pagina. O vorrai rimanere a struggerti per lui tutta la vita mentre il bellimbusto continua la sua ignobile esistenza fregandosene di te e divertendosi un sacco?».
Le sue parole mi colpiscono al cuore. Non avevo mai pensato al presente, mi ero sempre concentrata sul passato, su ciò che Michele mi ha fatto undici mesi fa. La mia vita si è congelata in quell’istante fatidico e terribile che ha sconquassato la quotidianità.
Non me lo sono più immaginato come essere umano vivente nel presente, che magari ha conquistato altre cento donne dopo di me e se ne frega altamente della mia sofferenza, degli attacchi di panico, della mia poca voglia di reagire.
Io mi consumo e lui vive. Una rabbia sorda mi monta nello stomaco e mi sento improvvisamente defraudata della mia esistenza. La paura mi ha bloccata in una misera condizione di misantropa che mi sta tagliando fuori dal mondo e dalle cose belle che potrebbero ancora accadermi.
Carla ha ragione, sono una sciocca, devo fare un po’ di violenza a me stessa ed uscire da questo stallo.
Il caffè è bollente e dolcissimo come piace a me. Lo bevo con un gusto che mi sembrava di aver perduto. Poi Carla mi aiuta a scegliere un vestito che non mi faccia sembrare una ridicola stampella.
Sono molto dimagrita e mi va tutto largo, ma un delicato vestitino a fiori con un trench ghiaccio andrà benissimo in questa mite giornata primaverile.
Quando usciamo di casa il sole bagna la strada ed illumina i palazzi e le vetrine.
«Da quanto non esci?» mi chiede Carla notando che sono un po’ frastornata.
«Saranno più di venti giorni e solo ora mi accorgo di quanto sono stata sciocca».
Per un momento mi pare che quel senso di vuoto e di sgomento stiano tornando a piegarmi in due. Riesco a controllare questa forza oscura che mi trascina giù e sento che posso farcela a risalire la china. Mi specchio nelle vetrine mentre cammino per le vie affollate insieme a Carla. Sono ancora giovane, ho un buon lavoro, una vita normale, un’amica che mi vuole bene davvero. Ora mi sento meglio, le palpitazioni si placano ed respiro si fa regolare.
Carla mi porta dal suo parrucchiere. È un tipo sbrigativo e sicuro di se. “Cosa facciamo?” mi chiede anche se ho la sensazione che abbia già una sua precisa idea su cosa, secondo lui, mi stia bene o no.
«Vorrei essere più carina… faccia lei!» rispondo e per la prima volta da quando sono nata affido, senza alcun timore, i miei capelli alle mani di un coiffeur sconosciuto. Qualunque cosa andrà bene purché restituisca un po’ di armonia al volto spento e grigio che mi ritrovo.
Le sue mani si muovono veloci e sicure. A terra cadono grosse ciocche e con loro precipita un po’ del mio passato.
A Michele piacevano tanto i capelli lunghi e mi raccomandava sempre di non tagliarli. Allora io finivo per fare sempre le stese cose, al massimo una stiratura o una spuntatina generale. Ora prendo in mano anche la mia capigliatura e cambio stile.
In mezz’ora sono un’altra. I capelli scalati su tutta la lunghezza ed una frangetta nuova di zecca mi danno un’aria sbarazzina che non avevo da quando ero adolescente.
«Stai benissimo. Ora si che ti riconosco»! dice Carla e quando usciamo di nuovo in strada mi sembra che tutti mi guardino e mi sento un po’ in imbarazzo.
Carla mi propone un aperitivo e ci sediamo ai tavolini di un caffè all’aperto, pieno di fioriere.
Davanti ad un bicchiere di ginger le racconto finalmente quello che ho passato nell’ultimo mese.
La tensione scivola piano e la brezza che sale dal mare mi accarezza di sfuggita il viso. Respiro a pieni polmoni l’aria profumata di fiori nuovi. «Grazie per avermi portata fuori!» dico a Carla che sorseggia piano il suo alcolico fruttato.
Siamo amiche da sempre e credevo avrebbe fatto da testimone alle mie nozze con Michele. Me la immaginavo accanto a me sull’altare, emozionata e vigile, nel suo vestito più elegante. Non è andata così e siamo ancora qui, sole, come due adolescenti troppo cresciute che si tengono compagnia.
«Sapevo che mi mentivi e che te ne stavi rintanata in casa volontariamente ma non potevo immaginare che avessi anche degli attacchi di panico. Avresti dovuto confidarti». Il suo è un tono di ammonizione celato dietro un sorriso benevolo.
Ad un tratto il telefonino le squilla e lei risponde prontamente.
«Si si, ok» la sento rispondere e subito riattacca scusandosi per l’interruzione.
Il mio aperitivo è quasi finito e già mi gira un po’ la testa, o è solo paura che mi venga una vertigine. Per la miseria, non starò davvero bene fino a quando non la smetterò di avere sempre fifa che mi accada qualcosa, soprattutto se sono fuori casa.
Mi tremano un poco le mani ed ho, tutto ad un tratto, la sensazione di sudare freddo.
«Calmati Emma, lo so che stai avendo un piccolo attacco!» esclama Carla prendendomi le mani «respira forte, stai calma e tieni la situazione sotto controllo».
Annuisco e lascio evaporare l’inquietudine che mi trema nel petto. «È invalidante, arriva all’improvviso!» dico quasi tra me ma già sento che sta passando e constato che stavolta è durato molto meno.
In quell’istante un uomo alto e dinoccolato si avvicina al nostro tavolo. Ha un viso familiare ma non mi sembra di conoscerlo.
«Paolo, ma che piacere!! Dai vieni che ti presento la mia amica». Carla gli da una grossa pacca sulla spalla e lo invita a sedersi. Io sono reduce da un leggero attacco di panico ma riesco a fingere una quiete che ancora non provo del tutto.
Devo distrarmi e non dare spettacolo, mi dico, allungando la destra allo sconosciuto che mi si accomoda di fronte.
«Non volevo interrompere la vostra chiacchierata ma passavo di qui e ti ho vista da lontano Carla!» fa lui e intanto guarda me. È un uomo davvero attraente ed i suoi sguardi lunghi mi lusingano. Mi do della matta e dico a me stessa che non ho ancora lo spirito giusto per apprezzare le occhiate interessate di un uomo.
«Ti ricordi di Paolo, a casa mia due estati fa, quando diedi quella festa di compleanno e poi finimmo tutti a mare a mezzanotte?» mi chiede Carla ed io dopo aver scavato nella memoria riporto a galla l’immagine di un ragazzo in camicia bianca con il quale non avevo scambiato nemmeno una parola perché allora avevo Michele al mio fianco. Paolo ha gli occhi di un nero ossidiana che sembrano esplorare dentro i miei.
É brillante e parla del suo lavoro di direttore di museo. Io adoro andare per musei e glielo dico. Lui mi invita subito ad una retrospettiva su Manet che si terrà il mese prossimo. Carla ha lo sguardo soddisfatto ed il suo frasario è improvvisamente tutto pieno di: è bellissimo, favoloso, stupendo.
Ho l’impressione che sia esageratamente infervorata per questo improvviso incontro e le lancio un’occhiata interrogativa che lei finge di non cogliere.
Quando ci alziamo è quasi ora di pranzo. Paolo ci invita in un ristorantino sul mare dove, dice, cucinano il pesce in maniera superba. Io tentenno guardando Carla accetta con entusiasmo “Ma si Emma, ci farà bene, ti farà bene divagarci un poco dopo tutto il lavoro di queste settimane”
Balbetto qualche cosa di incomprensibile e Carla finge ancora di non capire il mio imbarazzo. Vorrei ucciderla in questo momento ma cerco di tenere un contegno. E se mi sentissi male? Se mi venisse quel classico tremore che precede un attacco? Se svenissi davanti a quest’uomo che neppure conosco?
É troppo tardi! Carla si è già alzata e segue Paolo verso la macchina incitandomi a seguirla.
Dentro di me ruggisco ma fuori ho un sorriso smagliante.
Il ristorante è una terrazza sulla spiaggia, con allegri tavoli di legno chiaro coperti da tovaglie a quadroni blu.
Il pesce è davvero cucinato benissimo, il vino è frizzante e mi sguazza nella testa piacevolmente. La compagnia è piacevole e il tempo passa veloce.
Ad un tratto Carla, poco dopo il secondo, si scusa affermando di avere un impegno improrogabile e che non può trattenersi per il caffè. Io la guardo attonita e sento l’ansia montarmi in petto. Restare sola con Paolo non è probabilmente una buona idea, viste le mie condizioni! Carla mi rilancia uno sguardo che sembra dire “è arrivato il momento di provare a vivere”. Ci salutiamo e restiamo soli, io e Paolo.
Cominciamo a parlare, tanto, lui è simpatico e gli piaccio, me lo fa capire ma con discrezione, senza esagerare.
Nel giro di un paio d’ore cambio pelle come una serpente nel periodo della muta. Anche lui mi piace e sarebbe bello se ci rivedessimo. In queste due ore mai, nemmeno una volta, ho avvertito l’angoscia che sempre temo. Mi sono distratta completamente e non ho pensato a nulla. Ecco cosa mi serve, dimenticare le cose negative e ricominciare a guardare il lato positivo della vita, senza straziarmi oltre. Quando usciamo dal ristorante Paolo ed io passeggiamo lentamente sul bagnasciuga e le onde ci lambiscono le scarpe. Mi piace ascoltare la sua voce anche perché dice cose interessanti.
Scende la sera e ci accomiatiamo davanti a casa mia.
«Ora so dove vivi» scherza lui alludendo al fatto che così potrà rintracciarmi tutte le volte che vorrà.
Mi sento come una ragazzina.
Michele è così lontano in questo momento, così meschino il ricordo del suo amore.
«Ti chiamo domani» dice Paolo, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Poi si allontana regalandomi un sorriso affettuoso.
Quando entro in casa guardo la boccetta dell’ansiolitico sulla mensola del bagno e mi ripeto che riuscirò a farne a meno molto presto.
Ho gli occhi pieni di sole e di mare
Il vino mi è entrato in circolo e sento un piacevole torpore nelle braccia e nelle gambe.
Spalanco il balcone e l’aria di salsedine invade la stanza.
Un variopinto tramonto incendia l’acqua.
Mi butto sul letto davanti a quello spettacolo sensazionale e sorrido a questa giornata serena.
Oggi è andata bene ed è così bello sentirsi di nuovo in pace.
Il resto si vedrà.