La presenza femminile nel Ypg viene solitamente ignorata. Eppure rappresenta una componente rilevante nell’ambito della resistenza corda stanziata nelle tre enclave indipendenti della Siria nordorientale
da Alganews
Le donne combattenti sono oltre diecimila ormai: “Il nostro numero è cresciuto specialmente dopo il trimestre giugno-agosto del 2014, allorchè cominciarono a emergere le azioni criminali dei terroristi islamici a danno delle yazide: violentate, ridotte a schiave sessuali e poi uccise”. Esternazioni emblematiche che lasciano trapelare una desiderio collettivo di rivalsa nei confronti dell’effertezza jihadista, causa primaria di molta sofferenza. Ma c’è un elemento particolare che contribuisce a rendere la loro ingerenza militare ancora più temibile: il disagio del nemico.
Per un integralista infatti nulla è più infamante della morte inferta in battaglia da una donna ,passibile di imporsi in termini di soggetto vero e proprio e relegare il maschio al ruolo di vittima impotente. In sostanza, un miliziano ucciso da un essere potenzialmente inferiore non potrà godere della bellezza e delle delizie riservate ai martiri eletti nel fantomatico paradiso di Allah; oltretutto dovrà rinunciare alla compagnia perenne delle 75 vergini promesse dal Corano. La condanna prevista per i vili resta insomma l’astinenza eterna: una circostanza che nel contesto fondamentalista incarna la punizione peggiore. “E’ esattamente la ragione per cui tendono a fuggire appena ci vedono, ma per noi è un vantaggio”.
Va comunque precisato che le soldatesse – inglobate nel Yekîneyên Parastina Jin (o Ypj, Unità di difesa delle donne) – non godono certo di privilegi particolari: spesso in prima linea nelle aree più infiammate del paese (incluso il fronte a nord di Raqqa, capitale de facto del Califfato) affrontano gli islamisti con abilità e determinazione talvolta addirittura superiori a quelle dei commilitoni. “Abbiamo scelto volontariamente la vita militare con gli stessi compiti e doveri degli uomini”: ed è un aspetto che non hanno mai smesso di rimarcare. Il rischio non sembra quindi intaccare l’imperturbabilità dettata dalla loro completa devozione alla causa del popolo curdo. “Ci alterniamo nei turni di guardia, affrontiamo pattugliamenti notturni e il pericolo non ci spaventa”.
Disposte a qualunque sacrificio pur di annientare la minaccia incombente del Daesh, le guerrigliere hanno accettato di sottostare ai rigorosi e precisi dettami imposti dalla stessa organizzazione, abdicando spontaneamente a ogni altra prospettiva esistenziale. “Decidendo di indossare la divisa abbiamo accettato di rimanere nubili. Non possiamo avere figli o flirtare con i nostri compagni”, hanno sottolineato. “Dobbiamo ammettere che da quando ci siamo arruolate non è mai accaduto che le regole venissero infrante, ma d’altronde è logico: ogni energia va concentrata sull’obbiettivo principale, ossia la lotta all’Is”. Non c’è spazio per lo svago: la spensieratezza di un tempo è stata seppellita tra le pieghe del passato e nulla sarà più come prima. Nelle fasi di forzata inattività, al riparo di edifici diroccati assurti a sedi operative temporanee, le ragazze cercano di ritrovare la normalità perduta, pur consapevoli del fatto che gli orrori della guerra, l’odore del sangue, la consapevolezza della precarietà costante hanno ormai offiuscato la speranza nel futuro, poichè ogni sguardo rivolto al cielo potrebbe rivelarsi l’ultimo.