Il leitmotiv degli ultimi tempi è la famiglia naturale, l’unica che possa generare la vita e consentire un sano ed equilibrato sviluppo del bambino: quante volte ce lo siamo sentiti ripetere in questi ultimi mesi?
Pensavo che in uno stato laico l’oscurantismo e la religiosità reazionaria fossero cose passate: evidentemente sbagliavo.
Solo qualche anno fa, facendo leva su altre insicurezze, partivano crociate contro il burqa ed il niqab, tacciati di essere segni di fanatismo, integralismo, discriminazione di genere.
Ora il leitmotiv è la famiglia naturale, l’unica che possa generare la vita e consentire un sano ed equilibrato sviluppo del bambino: quante volte ce lo siamo sentiti ripetere in questi ultimi mesi?
Ma la famiglia naturale, intesa come unione tra uomo e donna legati da vincolo matrimoniale, è un concetto assoluto? Antropologicamente no.
Assodato che per procreare ci vogliono un uomo ed una donna (biologicamente è indubbio), qualsiasi tipo di relazione parentale può costruirsi anche dopo la nascita.
Il ruolo di genitore (sociale) e quello di genitrice (biologico) non sempre coincidono: la parentela per procreazione acquista valore solo se riconosciuta socialmente e, in ogni caso, un valore sostanzialmente simile al legame socialmente riconosciuto.
Nella famiglia convergono non solo relazioni biologiche, ma anche le relazioni “biologiche” simboliche, artificialmente costruite, nel rispetto di norme sociali e culturali locali che assegnano il nascituro al gruppo che se ne farà carico e dalla cui attribuzione derivano reciproci diritti e doveri.
Grande flessibilità è accordata all’unione perché è la finalità riproduttiva che va garantita, non l’unione.
In quest’ottica, naturalmente i legami biologici “naturali” sono solo il risultato di convenzioni.
Ad esempio, in molte etnie africane (Igbo, Nuer, Karembola, Lovedu ) è consentita la procreazione della donna con altro uomo in caso di sterilità o decesso del partner. In tutti i casi, questi sarà considerato genitore.
Consentita anche la variazione di ruolo genitoriale. Nei matrimoni tra donne Nuer (privo di connotazioni omosessuali), la donna può rivendicare la paternità dei figli della sua coniuge ed in Madagascar l’uomo può rivendicare la maternità dei figli della sorella.
Prevista anche l’esclusione di uno od entrambi i ruoli genitoriali. Ad esempio nella famiglia matrilineare delle attuali isole Kiriwina, ove la figura del padre è totalmente sconosciuta; o altre comunità primitive dell’Amazzonia, della Groenlandia, della Nuova Guinea ove sono ignorate e non riconosciute le connessioni tra il nascituro e chi lo concepisce.
E in Italia, come siamo messi? Esiste una famiglia tradizionale univocamente data?
Evidentemente no, se alla famiglia eterosessuale con prole, ostentata come “naturale”, si affiancano quella eterosessuale senza prole (per scelta o per necessità), quella monoparentale, quella omoaffettiva e/o omogenitoriale, quella ricomposta in cui coppia genitoriale e coppia coniugale non coincidono.
“Families” non tradizionali che, non sono in là in divenire ma che “every day”, esistono già.
Dai dati del Censimento generale della popolazione del 2011, l’ISTAT stima che le coppie di fatto eterosessuali siano oltre un milione e che un neonato su quattro sia figlio di genitori non sposati. Si stima inoltre che le coppie omosessuali siano 7513, di cui solo 529 con figli: dati che si considerano sottostimati perché, non essendo garantito l’anonimato col censimento, molte coppie omosessuali preferirono non dichiararsi per evitare lo stigma.
Mancando in Italia una legge sul riconoscimento delle unioni di fatto eterosessuali o omosessuali, si tratta di migliaia di persone lasciate in una condizione di vulnus giuridico.
La Costituzione italiana all’articolo 2 riconosce e garantisce diritti civili e sociali all’individuo (sia singolarmente considerato sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità) ma, all’articolo 29 sancisce che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
E’ sulla base dell’interpretazione letterale di questo articolo che molti vi hanno visto l’impossibilità ad un intervento normativo.
In realtà, i padri costituenti non avevano proprio preso in considerazione la questione della convivenza more uxorio, forse perché più interessati ad una svolta culturale dell’idea di famiglia pre-repubblicana.
Infatti lo stesso Statuto Albertino del 1848, in vigore seppur con modifiche fino al biennio 1944-1946, utilizzava il termine “famiglia” solo per fare riferimento alla Famiglia Reale.
E’ solo con lo Stato liberale che l’istituto giuridico della famiglia comincia ad essere disciplinato, ma solo negli aspetti patrimoniali derivanti dal matrimonio.
Fino alla soglie della Costituente, la famiglia avrà il solo compito di asservire ai fini dello Stato, garantire la figura del pater familias, ribadire la subordinazione della moglie al marito.
“Cellula dello Stato”, la famiglia sarà l’intero l’ambiente in cui la donna-madre-sposa insegna morale e religione alle nuove generazioni, al nuovo popolo italiano.
La stessa etimologia della parola matrimonio, matris munus (compito della madre), indica non tanto la prerogativa di mettere al mondo figli, quanto rafforzare il compito materno di dare legittimazione alla prole nata all’interno di un legame matrimoniale, escludendo i figli naturali.
Analogamente la parola patrimonio, dal latino pater munus, indicherà dapprincipio il “compito del padre” di provvedere al sostentamento della famiglia e, in seguito, le cose a questa appartenenti.
Orbene, se i costumi evolvono modificando la società, la famiglia, che ne è l’espressione, non può essere da meno.
Codice civile e diritto in generale non hanno avuto eguale evoluzione, data l’assenza di coraggio nell’intercettare i cambiamenti della società. Pensare che il diritto moderno, “materia viva”, possa restare immodificato, blindato in superati schemi familiari (ndr: né migliori, né peggiori… ma solo diversi), è un controsenso storico.
In questi giorni vi sarà l’approvazione definitiva del disegno di legge Cirinnà. Accolta con pareri contrastanti, per qualcuno rappresenta un attentato alle fondamenta della società, un attacco alla sacralità della famiglia e alla convivenza civile; per altri rappresenta un’occasione per legittimare un cambiamento sociale.
Il DDL Cirinnà, se venisse approvato nella sua interezza, consentirebbe alle coppie more uxorio di essere riconosciute ed uscire dall’ombra. In particolare, per le coppie omoaffettive si istituirebbe l’unione civile, un nuovo istituto giuridico di diritto pubblico.
Ad oggi l’Italia è rimasto l’unico paese dell’Europa occidentale a non aver introdotto alcuna forma di riconoscimento per le coppie omosessuali.
Già nel 2000 una risoluzione del Parlamento europeo, approvata ad ampia maggioranza, chiese ai paesi dell’Unione di dotarsi di normativa adeguata e di «porre fine agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni», tesi ribadita con altre risoluzioni e direttive, e confermata dalla Corte di Strasburgo nel 2015 con una Sentenza di condanna dell’Italia per non prevedere alcuna forma di riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso.
All’inerzia del legislatore hanno fatto eco provvedimenti contrastanti delle Amministrazioni locali che hanno determinato una situazione di grossa disparità di trattamento per fattispecie simili.
Accanto a Comuni e Regioni che hanno approvato mozioni a sostegno della famiglia naturale, altre più illuminate hanno previsto concessioni a favore di coppie non tradizionali (a parità di punteggio o attribuendone uno più basso rispetto a quello della famiglia tradizionale) ad esempio per la concessione di alloggi in edilizia popolare, per l’estensione di alcune provvidenze economiche, etc..
La stessa giurisprudenza dà risposte contrastanti, costretta ad intervenire su situazioni nuove con norme “vecchie” che nell’applicare talvolta forza o coraggiosamente reinterpreta.
Risultato è un federalismo dei diritti in un’ottica di politica europeistica: una situazione paradossale per uno Stato democratico.
Il principio di uguaglianza, diritto fondamentale ed inviolabile, trova espressione nella matrice liberale della democrazia italiana. Una democrazia sana e matura non può e non deve essere caratterizzata da una maggioranza che concede “un diritto” ad una minoranza, ma dal rispetto de “il diritto”, unico ed uguale per tutti. Se un Paese definisce il proprio livello di democrazia saggiando il modo in cui tratta le minoranze, indipendentemente dal numero di cui è composta questa platea, in Italia le cose non vanno benissimo…
Al momento per salvaguardare il partner non resta che stilare un testamento, un contratto di convivenza notarile, sottoscrivere polizze vita e pensionistiche, poiché nulla per legge è previsto: in materia di eredità, reversibilità di pensione o vitalizio, assistenza sanitaria, assistenza ai figli, scelta del regime patrimoniale comune dei beni, adozione del figlio biologico del partner (per le coppie di fatto eterosessuali prevista solo dal 2007), espianto degli organi, altro.
Non basta manifestare solidarietà morale o auspicare pari dignità, occorre garantire e tutelare medesimi diritti/doveri, nel rispetto dell’etica della reciprocità dei diritti civili.
Tale riconoscimento giuridico non può e non deve essere visto come costo economico per la Comunità.
Così come paventato dal ministro degli interni Alfano, il costo stimato per le pensioni di reversibilità alle coppie omosessuali è di circa 40 miliardi di euro.
In realtà, da uno studio commissionato dall’associazione “Love out law”, il dato è stata smentito e ridimensionato a 44 milioni circa: una cifra irrisoria se si pensa che nel 2013 l’INPS ha speso ben 38 miliardi per assegni di reversibilità per coniugi etero.
Di contro, il mancato riconoscimento di tutela giuridica rappresenta un costo sociale, un mancato arricchimento in termini di democrazia.
Il concetto intrinseco di Comunità presuppone un ben essere della Comunità nella sua interezza. Chi si sente Comunità non potrà essere che felice di pagare le imposte perché consentono la realizzazione di politiche di welfare, anche se non se ne fruisce in prima persona.
La partecipazione alla spesa pubblica per fornire beni e servizi (istruzione, assistenza socio-sanitaria, trasporti, ordine pubblico, etc.) rappresenta un investimento per l’intera Comunità in termini di benessere, di coesione sociale.
Di fatto, la storia insegna che nulla è dato, ma sempre frutto di cambiamenti..
E’ bene ricordare solo recentemente siamo riusciti a prendere le distanze da un tipo di famiglia patriarcale, maschilista, autoritaria, che relegava la donna in una posizione di minorità giuridica.
Solo nel 1867, su iniziativa del deputato Salvatore Morelli, si presentò una proposta di legge per l’abolizione della schiavitù domestica della donna e concessione dei diritti civili e politici per la parità della donna con l’uomo;
solo nel 1919 la donna coniugata ottiene la piena capacità di agire e disporre dei propri beni (ponendo fine alla potestà maritale e al Consiglio di famiglia);
solo nel 1946 le donne acquisiscono il diritto al voto;
solo a partire dal 1960 il concubinato non è punibile per legge;
solo nel 1975 è concesso anche alla madre di esercitare la patria potestà sui figli minori;
solo nel 1981, grazie al coraggio di Franca Viola, è abrogato l’articolo che prevedeva l’estinzione del reato di violenza carnale (anche ai danni di minorenne) attraverso il matrimonio riparatore;
solo nel 1996 lo stupro è legalmente riconosciuto non più reato “contro la morale”, ma reato “contro la persona”.
Cellula originale della comunità religiosa cristiana è la famiglia.
La Bibbia nella Genesi 1, 27-28 dà un’immagine inconfutabile di famiglia: un maschio ed una femmina, a cui Dio dice “Siate fecondi e moltiplicatevi”.
Molto chiaro.
In effetti questo progetto originario di famiglia ideale, nel libro biblico, non sempre si realizza nel giusto modo e nel rispetto della monogamia.
Come chiaramente espresso nella Dei Verbum di Paolo VI : “…Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini”
Nei Testi sacri v’è la parola di Dio, scritta con le parole degli uomini. Chi vuole capire, leggere, pregare, non può prescindere da queste due realtà: una eterna, assoluta, non relativizzabile; l’altra mutabile, determinata, condizionata dai contesti storici e culturali.
Il punto è proprio questo: essendo nati in contesti storici e culturali diversi dai nostri, stilata in tempi diversi (prima oralmente, poi per iscritto, poi raccolti, poi risistemati,..), contengono concetti non sempre sovrapponibili ai nostri, ma da contestualizzare, interpretare, attualizzare.
Le Sacre scritture contengono dei capitoli (in particolare nel Vecchio Testamento) omofobi, misogini, discriminatori verso disabili e ammalati (Levitico 21), o bizzarri divieti come il divieto di mangiare carne di porco e frutti di mare, di tagliarsi i capelli, di radersi la barba, di lavorare il sabato pena la messa a morte (Deuteronomio 5:14, Esodo 31:15). A nessuno oggi verrebbe in mente di applicarli alla lettera.
Qualche parola anche sul matrimonio..
Sebbene si parli di matrimonio già nei Vangeli (nelle nozze di Cana), diviene oggetto di interesse ecclesiastico solo nel 1215, quando papa Innocenzo III ne regolamentò la liturgia e gli aspetti giuridici nel corso del concilio Laterano IV. L’istituzione del matrimonio come sacramento risale al 1439 e solo nel 1563 la Chiesa col Concilio di Trento ne rinforzò la regolamentazione imponendo un modello di matrimonio monogamo, indissolubile, esogamo, pubblico, da celebrare davanti ad un parroco e dei testimoni, col divieto per gli sposi alla coabitazione al di fuori del matrimonio per evitare il concubinato e i figli illegittimi.
Prima di quelle date il matrimonio era essenzialmente una situazione di fatto, i cui presupposti erano la convivenza e la capacità di agire. Buone famiglie egualmente..
Attualmente anche la Chiesa sembra ammorbidire le sue posizioni: accanto ai cattolici tout court promotori di veglie di preghiera a sostegno della famiglia “naturale”, aumentano quanti si mobilitano per un serio confronto sull’argomento. Lo stesso raduno sanfedista del Family day è certo stato sostenuto economicamente da alcune diocesi , ma altre non hanno neppure consentito il volantinaggio per pubblicizzarlo.
Lo stesso atteggiamento del Papa, nel corso degli anni, è cambiato: se Papa Woityla definiva le unioni affettive diverse dal matrimonio “una caricatura della famiglia”; Papa Francesco ribadendo che “per la Chiesa non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione” afferma che “chi vive altre forme di unioni è oggetto della misericordia della Chiesa”.
Questo mentre dalle potenti (ed inquinanti) antenne di Radio Maria, don Livio Fanzaga tuonava rozzamente contro le famiglie arcobaleno definendole “ famiglie groviglio, forme surrettizia di unioni, sporcizia, uomini che chiamano diritti i desideri confusi della carne”…
Inorridisco al pensiero di uomini di Dio che sobillano le masse incitando alla caccia alle streghe. Mi auguro che il Malleus Maleficarum non sia già in ristampa!
Per finire..
“Chi crede nel matrimonio non ha paura del divorzio”. Questo era uno slogan utilizzato nel primo referendum abrogativo del 1974, per dire NO all’abolizione del divorzio.
E’ giunto il momento di dire “Chi crede nella famiglia non ha paura delle famiglie”.
L’amore non è una minaccia per la famiglia, né per la società.
Le vere minacce sono la povertà, la disoccupazione, l’ignoranza, la malavita organizzata, la corruzione negli apparati dello stato, l’inquinamento atmosferico,..
Protestiamo, tutti uniti. Scendiamo in piazza compatti: uomini di Stato coi gonfaloni, uomini di Chiesa coi testi sacri, uomini, donne, tutti… Folle oceaniche per protestare insieme contro questi pericoli.
Quindi cosa dire?
Sono a sostegno delle famiglie, diversamente uguali. Famiglie every day.
«Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti (…).
La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa.
Perché le circostanze sono diverse.»
Emile Durkheim, 1888