La fida presidenziale USA che si svolgerà l’8 novembre prossimo prospetta molte difficoltà di tragitto. Saranno le donne che faranno la differenza?
Quasi sicuramente saranno i protagonisti della grande sfida presidenziale che si svolgerà l’8 novembre prossimo. Ma se il percorso verso la candidatura alla Casa Bianca pare ormai in netta discesa per repubblicano Donald Trump (i toni estremi adottati nel corso della campagna elettorale gli hanno valso molti consensi popolari), l’esponente dei democratici Hillary Clinton ha ancora qualche ostacolo da superare.
Innanzitutto l’incognita rappresentata dal compagno di partito Bernie Sanders, che almeno per il momento non ha affatto rinunciato alla possibilità di accreditarsi per lo scontro finale (molti sono convinti che voglia aspettare la Democratic National Convention – prevista il 25-28 luglio – per infliggere il colpo fatale alla concorrente, fautrice del libero commercio e ritenuta collusa con gli ambienti finanziari di Wall Street). Ma tutto, in effetti, potrebbe ancora accadere.
“Non importa chi dei due la spunterà, sono entrambi dalla stessa parte“, è il commento della 28enne Alisha Lidke. “Voterò per il nostro rappresentante, chiunque sia“, ha sottolineato il 45enne Jeremy Schoflield, secondo il quale il risultato della gara è irrilevante poiché “tanto non credo che Trump verrà eletto“. Un’indifferenza che non agevola certo la convergenza dell’elettorato su un unico nominativo, specialmente a fronte delle continue critiche mosse dall’attempato membro dell’Asinello alla “charming lady” della politica a stelle e strisce (diatribe che potrebbero tra l’altro avvantaggiare il tycoon della formazione rivale).
Qualora l’ex Segretario di Stato riuscisse a conquistare il favore delle masse in Oregon (in base ai sondaggi sarebbe in leggero vantaggio) e soprattutto in Kentucky (socialmente simile al West Virginia, teatro della recente vittoria del collega politico) potrebbe cominciare a intravvedere un futuro decisamente più allettante.
In tal senso dunque, la propaganda elettorale che accompagna le primarie rappresenta un’ottima opportunità per sondare gli animi dei colletti blu, dei giovani e della popolazione bianca di classe medio-bassa dai quali – a differenza di quanto avvenuto tra le minoranze nere e ispaniche – non ha finora ricevuto grande plauso.
Mediocre anche l’impatto sulle donne, in verità. E a pochi mesi dalle elezioni passibili di incoronare la prima presidentessa della storia statunitense occorre assolutamente tentare di ricompattare una coalizione affidabile e coesa, riconducibile a quella che per due volte nel corso degli ultimi otto anni ha consentito al leader uscente Barack Obama di insediarsi nello Studio Ovale.
Eppure gli statunitensi dell’Appalachia (regione prevalentemente mineraria che ingloba i due stati sensibili alle argomentazioni professate da Sanders) non hanno ancora dimenticato l’infausta prospettiva ventilata nel marzo scorso dall’autorevole candidata alla guida del paese (“estrometterò dal mercato imprese carbonifere e imporrò la chiusura di altrettante miniere“), che non a caso si è sforzata di rimediare alla gaffe ribadendo l’intenzione di salvaguardare le esigenze locali. “Non possiamo deviare da questo obiettivo. Deve essere chiaro a tutti che non rinuncerò all’appuntamento novembrino a causa del Kentucky“.
Sede ideale, tra l’altro, per anticipare una strategia emblematica sulla quale far confluire l’attenzione di scettici e indecisi. “Ho già avvertito mio marito che se avrò la fortuna di governare, lui diventerà necessariamente il ‘first genteman’ nazionale. Quindi mi aspetto che si metta a lavorare“, ha esordito.
Bill Clinton potrebbe sostanzialmente essere incaricato di “rilanciare la produttività” ovunque, in particolare nelle aree urbane nonchè in quelle anticamente caratterizzate dall’attività estrattiva. Dopotutto è sempre stato molto abile a convogliare su di sé le preferenze dei connazionali (“Scegliendo me avrete due presidenti al prezzo di uno“, aveva ironizzato all’epoca della sua nomination al vertice della confederazione con un preciso riferimento alle capacità politiche della consorte). Anche se non vanta trascorsi edificanti sul piano etico. Gli scandali di cui si era reso protagonista infatti (uno tra tutti, la discussa vicenda Lewinski) sono stati ripetutamente al centro della campagna denigratoria di Trump.
Tuttavia i coniugi Clinton non si scompongono: sono entrambi perfettamente consapevoli che la discesa in campo dell’ex presidente potrebbe scompaginare le regole del gioco. Persino i detrattori della coppia sono costretti a riconoscerne l’autorevolezza e la competenza in ambito economico.
Il ricordo del boom (assecondato dalla diffusione del digitale) che aveva contraddistinto il suo doppio mandato è ancora vivido nella memoria collettiva: 20 milioni di posti lavorativi creati in poco tempo non sono un’inezia. Non è quindi escluso che grazie alla notevole influenza tuttora esercitata sulle folle, il mitico Bill possa rivelarsi in grado di attrarre le simpatie delle categorie che Hillary non ha finora saputo convincere.
Nel caso in cui Sanders decidesse poi di ritirarsi dalla competizione – limitandosi a un supporto esterno – ed Elizabeth Warren (ipotetica vicepresidente) decidesse di interagire con il genere femminile, la potenziale inquilina della Casa Bianca potrebbe finalmente respirare di sollievo. “Ha elaborato quel programma preciso che manca agli altri“, ha osservato Alison Lundergan Grimes, legata alla Clinton da indissolubile amicizia.
“Il contrasto a cui state assistendo non è nulla rispetto a quello che vedrete alla fine“, ha puntualizzato l’ex first lady. “Trump non sarà capace di affrontare le crisi diplomatiche internazionali. Nel 2012 io ho esercitato molte pressioni per smorzare le tensioni israelo-palestinesi, anche mediando con l’allora presidente Mohammed Morsi. Quindi mi domando come farà il futuro Segretario di Stato a trattare con i musulmani se chi desidera arrivare in cima continua a denigrare la religione di coloro con i quali dovrà intrattenere rapporti“. L’enigma però sarà presto svelato.